antiproibizionismo
Ancora una vittima dell’ ignoranza figlia dalla repressione PROIBIZIONISTA.
Ancora una vita giovanissima spazzata via in uno dei locali più famosi, blasonati e CONTROLLATI del “bel paese”.
Ancora uno sciacallaggio mediatico senza vergogna nè rispetto per il dolore di parenti e amici.
Noi ci limitiamo a segnalare qualche articolo più ragionato e puntuale e una nostra intervista rilasciata a DolceVitaonline per avanzare verso interventi più utili a evitare altre tragedie simili.

L’IKEA dell’elettronica e la morte di un ragazzo

Sedicenne morto a Riccione, il medico: “Serve riduzione del danno. Invece si fa solo repressione”

Inoltre vi segnaliamo un’altra intervista dello scorso ottobre sul tema urgente dell’ analisi delle sostanze circolanti nel mercato italiano

 – Le cavie d’Europa – Perché in Italia circolano le droghe più scadenti sul mercato

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coccoricòQuando si commentano eventi tragici come quello accaduto sabato scorso al Coccoricò di Riccione, dove un ragazzo di 16 anni ha perso la vita, è meglio aspettare un attimo e ragionare. La rincorsa alla scrittura della notizia in velocità la lasciamo ad altri giornali, così come gli lasciamo volentieri anche la solita retorica della tragedia. Non perché non sia stata una tragedia la morte di un ragazzo così giovane, ma perché serve altro per cambiare le cose e far sì che questi fatti non accadano più.

Su quasi tutti i media nazionali avrete potuto leggere le stesse cose: la morte accettata come logica conseguenza dello sballo dei giovani, e i pochi spunti polemici indirizzati alla mancanza di controlli, all’esigenza di avere più polizia e cani antidroga all’ingresso, la richiesta di chiudere il locale. Ad infarcire il tutto livelli di ignoranza da ritiro del tesserino dell’ordine dei giornalisti: l’mdma descritta come una nuova droga, l’ipertemia confusa con la febbre, l’amico del ragazzo che gli aveva dato l’mdma additato come pusher e unico colpevole. Chi più ne ha più ne metta.

Non un ragionamento su come si potrebbero evitare in futuro questi tragici avvenimenti, fatta eccezione per un paio di articoli ben fatti (in particolare questo dell’agezia Dire e questo di Manila Ricci del Laboratorio Paz di Rimini). Del resto, non un singolo articolo che citi parole come “riduzione del danno”, “chill-out”, “analisi delle sostanze”. Eppure il nocciolo della questione sarebbe, soprattutto, questo.

Ne abbiamo parlato con Max, del Lab57 di Bologna, associazione di promozione sociale senza scopo di lucro che da anni lavora nelle feste e nei “Free parties” facendo riduzione del danno, informazione, analisi delle sostanze, primo soccorso. Insomma tutte quelle attività che servono a prevenire fatti come quello di sabato scorso.

  • Ciao Max, cosa hai pensato quando hai sentito la notizia del ragazzo morto al Coccoricò?

Che al Coccoricò ci sono 33 telecamere a circuito chiuso e un’ambulanza pagata dai gestori del locale, oltre a decine di buttafuori che perquisiscono i ragazzi all’ingresso e poliziotti in divisa e in borghese. Il risultato è che nonostante questo dispiegamento di forze e risorse, nei locali commerciali come nelle feste organizzate dai Comuni della riviera come la Molo street parade ogni fine settimana si rischia il morto e ogni tanto, come questa volta, ci scappa davvero. Nel frattempo noi di Lab57 sabato scorso eravamo a un rave a Pavullo (Modena), migliaia di persone e non c’è stato nessun problema sanitario rilevante, perché c’erano strategie di riduzione del danno, al posto di inutili controlli repressivi.

  • Cosa intendi per riduzione del danno, come potrebbe servire a evitare queste tragedie?

Innanzitutto significa avere punti dove si faccia analisi chimica delle sostanze. In alcuni paesi europei questa è una prassi, se vai fuori da certi tipi di locali in Spagna, Portogallo, Svizzera, Francia ed Austria, ad esempio, trovi personale sanitario che con dei kit analizza in tempo reale la sostanza che hai acquistato e ti sa dire il grado di purezza che ha, se e quanto è tagliata con farmaci, caffeina o altre schifezze che potrebbero farti del male. Queste analisi si possono fare con piccoli laboratori portatili, bastano da due a venti minuti, a seconda delle tecniche che si usano, i kit colorimetrici che usiamo noi, ad esempio, costano poco o niente. Un’analisi dal costo di un euro e 60 centesimi poteva salvare la vita a quel ragazzo, mettendolo in guardia sulla purezza della sostanza.

  • E perché non viene fatta in Italia?

Perché culturalmente siamo ancora vittime del discorso dei vari Giovanardi e delle comunità di recupero in stile San Patrignano. Loro dicono: se tocchi la droga muori. E il loro discorso finisce lì. L’unica prevenzione che conoscono è quella della polizia e dei buttafuori che perquisiscono gli ingressi. Però poi succede che ovviamente i giovani le sostanze le assumono comunque, e per evitare i controlli l’mdma la prendono in polvere anziché in pastiglie che sono più difficili da nascondere. Il risultato è che poi la polvere la versano di fretta in una bottiglietta d’acqua e buttano giù. Senza avere un’idea di quanta ne prendono. Anche perché nessuno gli spiega che per stare sicuri con l’mdma la dose da non superare è 1/10 di grammo, questo ragazzino che è morto ne aveva assunta dieci volte tanto. E poi la riduzione del danno non viene fatta anche a causa delle politiche dei gestori dei locali.

  • In che senso?

Il problema è sempre lo stesso: siccome fare riduzione del danno è visto dai gestori come un’ammissione implicita del fatto che all’interno dei loro locali c’è gente che assume sostanze, allora preferiscono non farla nascondendo la testa sotto la sabbia. Quelli del Coccoricò poche settimane fa’ erano stati a San Patrignano, a spiegare che grazie ai controlli la droga non era più un problema grave dentro al loro locale. Si è visto.

  • Anche i controlli rappresentano un problema?

Nel modo in cui vengono fatti sì, se un ragazzo sta male dentro a una discoteca non sa cosa fare. I suoi amici temono che accompagnandolo fuori vengano interrogati e perquisiti dalla polizia, che è sempre presente fuori dai locali. Le ambulanze sono poste spesso a pochi metri da buttafuori e poliziotti, e un ragazzo che si sente poco bene non ci andrà mai per paura di essere fermato. Così succede che un ragazzo che sta male pensi “non ci vado fuori, tanto adesso mi passa” e rimane dentro al locale, dove non esistono quasi mai aree “chill-out” dove possa stare tranquillo, senza musica assordante, aiutato da personale esperto in primo soccorso ed effetti delle sostanze che sia in grado di dargli una mano per riprendersi lì in chill-out o di chiamare il 118 se la situazione lo richiede davvero. In tutto questo il gestore del Coccoricò all’indomani della tragedia ha detto che aumenterà la sicurezza pagando di propria tasca per avere più cani antidroga all’ingresso del locale. Una pazzia.

  • A leggere i giornali sembra invece che il colpevole di tutto sia l’amico che gli ha ceduto l’mdma…

Questo è un altro dei modi distorti con cui si ragiona di queste cose. Ci si limita a invocare più controlli ed a cercare un capo espiatorio per lavarsi le coscenze. Sui giornali questo ragazzo è già diventato “il pusher”. Il terribile spacciatore da punire. Ma è un diciannovenne (amico di scuola del ragazzo che non c’è più, ndr), che forse allo stesso modo ha assunto una dose spropositata di mdma con la sola differenza che non ci ha lasciato le penne. La causa di questi decessi, lo ripeto, va cercata nella mancanza di progetti di informazione che spieghino come assumere le sostanze, i dosaggi corretti, i mix pericolosi e cosa fare se un amico non si sente bene, nell’assenza di personale sanitario qualificato. Perché è vero che c’erano gli operatori del 118, ma io che ho a che fare spesso con loro per il mio lavoro so come molti di loro non sappiano assolutamente cosa fare in questi casi, perché non vengono formati adeguatamente per far fronte a queste situazioni in cui serve riconoscere tempestivamente gli effetti di diverse sostanze assunte contemporaneamente, tra le quali l’alcool non manca mai, ovviamente.

  • Come si potrebbe fare nel breve periodo per evitare che queste cose si ripetano?

Accettare che nonostante i controlli, i cani antidroga, le telecamere, i buttafuori e le campagne di San Patrignano l’uso di sostanze è comunque radicato e impossibile da debellare. Basterebbe spendere un decimo di ciò che si spende in repressione per creare dei punti con personale qualificato dentro e fuori i locali, creare sale “chill out” efficenti con postazioni mobili per testare le sostanze prima che vengano assunte e fare campagne informative serie, a cominciare dalle scuole, che spieghino i rischi correlati all’assunzione di ogni sostanza e come evitare di lasciarci le penne se per caso si decide di assumerla comunque. Nei paesi dove si cerca di seguire questo approccio i risultati sono ottimi.

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pubblicato il 23/7/15 su Dolcevitaonline

 

 

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