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Il 6-7 ottobre il Lab57 ha partecipato ai lavori  della
Prima Conferenza Europea sulla riduzione del danno
a Marsiglia (EuroHRN – European Harm Reduction Network)
su invito del nostro partner europeo Médecins du Monde – Marsiglia, che ringraziamo sentitamente per averci offerto questa nuova opportunita’, sostenendo le spese di viaggio, come gia’ lo scorso anno quando abbiamo preso parte alla  conferenza
3èmes Rencontres Nationales de la Réduction des Risques (14-15 ottobre 2010, Parigi).
A Marsiglia il Lab57 ha portato in questa nuova rete europea la propria esperienza di lavoro sia nazionale che regionale all’interno del Coordinamento regionale delle Unità di Strada Emilia Romagna sottolineando l’ importanza del presenza attiva dei consumatori nel lavoro sulle sostanze, a questo proposito abbiamo aderito con entusiasmo alla neonata INPUD (Rete Internazionale di Consumatori di Sostanze).

Per un parziale bilancio della conferenza di Marsiglia vi consigliamo la lettura di questo articolo pubblicato nella rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 12 ottobre 2011 da Susanna Ronconi (Forum Droghe), che ha partecipato al meeting.

Droghe, “riformatori” in rete
L’Europa è la culla della riduzione del danno, la strategia che da oltre vent’anni  sfida la fallimentare guerra globale alle droghe. E in Europa sta oggi nascendo una rete organizzata tra associazioni, servizi, operatori (EuroHrn) che a Marsiglia (il 6 e il 7 ottobre) ha mosso i primi passi.

Due giorni affollati e appassionati, ma anche estremamente lucidi, perché nella geografia diseguale della riduzione del danno nella UE,  vi sono sfide che si sono rivelate  urgenti e comuni. Il rapporto con la politica, per esempio, con i governi, con la UE, con le agenzie internazionali. Che si tratti della avanzate situazioni olandese o svizzera, dove la riduzione del danno è politica sociale e di salute pubblica che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione, o dell’Italia e della Francia, dove allo sviluppo dei servizi  e delle politiche a livello locale fa eco  una costante sordità o ostilità governativa, la politica si mostra muta  e spesso imbelle: come far entrare nell’agenda della politica il tema della riforma sulle droghe – che sia la depenalizzazione piena o la legalizzazione o la decriminalizzazione, a seconda delle situazioni nazionali – è stato il tema che ha percorso ogni sessione e ogni gruppo di lavoro.

I linguaggi dell’evidenza, ovunque ricchi di fatti, cifre, storie, paiono non scalfire una politica aggrappata alla retorica e alla paura della pubblica opinione e stretta nei vincoli di relazioni internazionali imbalsamate. Ma non è solo lì, la sfida.  Si è discusso molto del dominio dell’approccio medico e della patologizzazione dell’uso, di un processo di medicalizzazione che minaccia e  indebolisce la  stessa riduzione del danno, che non solo è politica sociale ma anche approccio che valorizza le capacità dei consumatori come soggetti di scelta, apprendimento e strategie. Medicalizzare vuol  dire molte cose:  in Svizzera un eccesso di professionalizzazione che depotenzia contesti e pratiche “naturali”, in Italia la negazione della possibilità stessa di convivere con le droghe con minor rischio e danno, tanto da cancellare il nome stesso di riduzione del danno e passare a una “prevenzione delle patologie e dei comportamenti devianti correlati”, che da sé dice tutto. Medicalizzare l’uso vuol dire rinunciare a “normalizzare” e non è da meno che criminalizzare.  La nascente rete europea ne è consapevole e ne fa uno dei suoi punti cruciali. Tanto che consumatori e operatori “pari” erano in gran numero, a Marsiglia, con i loro gruppi, le loro associazioni e la loro partecipazione a servizi e politiche.  Tanti, e non solo dal Nord Europa, tradizionalmente vivace sotto questo aspetto, ma anche dal Sud e dall’Est.  Tanti perché non c’è  riduzione del danno senza il loro protagonismo, ma nemmeno un movimento di riforma delle politiche se loro, i destinatari, non vi prendono parte e parola.

Pochi i consumatori e gli operatori peer  italiani, qualcuno da Torino e da Bologna. Una vecchia storia: non ce la facciamo proprio a uscire dal paternalismo di provincia, e a riconoscere  diritti  e competenze in modo concreto e meno ipocrita.  In buon numero, invece gli operatori “professionisti”  italiani, ma quasi tutti dell’associazionismo, per gli operatori dei Sert le dita di una mano erano anche troppe. Peccato, avrebbero scambiato idee con un mondo che non pare proprio affascinato dai “cervelli a colori” cari al neobiologismo del nostro Dipartimento antidroga.  Ci saranno nuove occasioni, nella prospettiva di una rete italiana.
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