c.s.a. Kavarna
Via Corte 11
Via Maffino Maffi 2A (Cascinetto),
26100 Cremona
DJ & Live Sets from the underground…
Anomala
Badunionz Sound System
DoggoD Sound System
No Rulez Crew
SabotaZ Crew
:: CHILLOUT & INFO S.O.S.TANZE BY L.A.B.57 ::
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:: APERTI ALLE BANCARELLE D’AUTOPRODUZIONI E ALLE DISTRO ::
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:: NO NAZI/FASCI – NO SBIRRI – NO INFAMI ::
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Metterci nella serena prospettiva che non ci sarà ritorno alla normalità, per abitare questa irreversibilità.
Gli spazi non si sgomberano, Kavarna resiste!
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Villino Ricci Occupato
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Lunedì 3 Agosto
> ore 19
Aperitivo #seminiamoindipendenza
> ore 20.30
Assemblea Pubblica: l’ikea dell’elettronica e l’austerity proibizionista uccidono
Hanno confermato la loro partecipazione:
Leonardo Montecchi direttore della Scuola Bleger, Max del Lab57, Cristian Tamagnini operatore di strada, Giovanni Paglia deputato e firmatario della proposta di legge per la depenalizzazione della Cannabis sia per uso terapeutico che ludico, Raffaella Sensoli Portavoce Regionale – Consigliera Regionale, introduce Rita Meggie Tkachuk Casa Madiba Network.
>>L’ikea dell’elettronica e l’austerity proibizionista uccidono<<
La morte del giovane sedicenne al Cocorico è stato un evento drammatico che ci ha molto interrogato.
Ad essa è seguita una narrazione mainstrem sulla stampa sia nazionale che locale, tossica , fuorviante, ricca di inesattezze formali sulle reali cause che hanno portato al decesso di Lamberto e a cercare un capro espiatorio, il solito nemico pubblico e mostro da sbattere in prima pagina, individuato nell’amico 19enne che ha ceduto la sostanza, definito come un pericoloso pusher.
Lamberto e il pericoloso pusher frequentavano lo stesso liceo a Città di Castello.
Due vite spezzate, vittime entrambe da un lato dell’austerity proibizionista che ha cancellato in un decennio le politiche di riduzione del danno per concentrarsi sulla prevenzione primaria (siccome l’uso delle sostanze è vietato dalla legge, allora non deve succedere e quindi la prevenzione primaria si deve limitare a prevenire il contatto con la droga e a reprimere il fenomeno); dall’altro vittime delle logiche che soggiacciono ad un modello di divertimento che abbiamo volutamente definito “l’ikea dell’elettronica”, dove il turista che viene in Riviera esclusivamente per il divertimenti mento e i grandi eventi estivi (Notte Rosa e Molo Street Parade) è parte integrante del sistema di produzione territoriale, che lega i modelli di produzione (lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici stagionali, l’illegalità diffusa nell’organizzazione dei servizi turistici) a quelli del consumo.
I turisti sono consumatori a tutti gli effetti e in qualche modo anche loro, come i lavoratori e le lavoratrici stagionali, sono ridotti a mera merce. Per loro non c’è nessuno Stato Sociale, o servizi ad hoc.
La chiusura dei locali dopo questi fatti è una soluzione?
L’aumento dei controlli e degli apparati repressivi dispiegati ad esempio negli ultimi due week end in Riviera, dopo i tragici fatti, può salvare vite umane? Può limitare i rischi che accadono altri ulteriori episodi?
Noi crediamo di no, se Lamberto e l’amico “Pusher” avessero avuto le corrette informazioni, due vite sarebbero state salvate.
A uccidere il ragazzo, dunque, potrebbe non essere stata solo l’ecstasy in sé, ma come la sostanza è stata assunta nella totale: mancanza di un’informazione completa, sulle quantità, sui rischi, sugli effetti.
“Ecco perché la domanda corretta da porsi non è ‘chi è il pusher’, ma se ‘c’era acqua in discoteca’, se c’erano degli operatori per informare su questi rischi’, se ‘c’era qualcuno che tenesse d’occhio la pista e portasse acqua a chi ballava da troppo tempo o dava segni di scompenso”.
Per queste ragioni proponiamo una discussione pubblica e partecipata che non si limiti a parlare della necessità di un generico antiproibizionismo tout court, ma che si sforzi di collocare questo evento drammatico dentro il quadro di cristallizzazione della crisi economica e alla conseguente implementazione delle politiche di austerity che hanno portato allo smantellamento dello Stato Sociale e dei servizi sociosanitari.
Crisi e neoliberismo che sul tema delle dipendenze e del consumo di sostanza hanno favorito ulteriormente, dopo un decennio di Fini/Giovanardi, politiche proibizioniste che non attaccano minimamente ad es. il narcotraffico e i ricchi profitti di questa filiera della produzione illegale e smercio di sostanze sempre peggiori per qualità e taglio.
Nonostante ciò finalmente è stata depositata in Parlamento una proposta di legge per depenalizzare il consumo di cannabis sia per uso ludico che medico.
Allora alcune domande da porsi per costruire una riflessione collettiva potrebbero essere:
quali forme mutualistiche sviluppare dopo il fallimento del proibizionismo e la cancellazione dello Stato Sociale e quindi della riduzione del danno? Come aprire un dibattito aperto, pubblico e partecipato a partire dalla proposta di legge sulla cannabis?
Come costruire campagne sociali e coalizioni di scopo intorno a questi temi, in grado di riportare in auge il tema della prevenzione a 360°, in particolare di quella terziaria “vale a dire prevenire che un consumatore occasionale ne riceva un danno e sviluppi una dipendenza”?
Come ridare centralità al lavoro degli operatori del settore anche nell’individuazione di buone pratiche di riduzione del danno sperimentate già in alcuni paesi europei e molto efficaci per evitare tragedie come queste?
Come rispondere ad un dibattito mainstream che parla di cani antidroga, militarizzazione degli spazi dell’aggregazione gestita in riviera, trasformazione delle città in grandi prigioni a cielo aperto, sperimentazione di nuove pratiche repressive che potrebbe poi diventare modello diffuso di intervento anche altrove senza peraltro incidere minimamente sulle cause e sui rischi connessi all’uso di sostanze?
Vi aspettiamo!
#SeminiamoIndipendenza
>> Vedi anche il nostro recente post: Il Business Proibizionista uccide ancora
…
Il 28 luglio E’ stata approvata in commissione Agricoltura della Camera la bozza del testo di legge per rilanciare la filiera della canapa italiana. Ora il testo passerà al Senato.
Avrebbe tutta l’aria di una buona notizia, in realtà SE RIUSCISSERO A TRAMUTARE IN LEGGI QUESTI DISEGNI, SAREBBE IL PRIMO ECODISATRO DELLA STORIA PERPETRATO CON LA CANAPA.
Per capire meglio pubblichiamo l’analisi approfondita che potete trovare sul sito BioCannabis – innamorati della Canapa, frutto dell’esperienza sul “campo” riguardo la coltivazione della canapa, fuori da qualsiasi gioco di potere, denaro, arrivismo politico e soprattutto per capire dove si sta spostando la partita dei grandi interessi legati alle CENTRALI A BIOMASSE.
CENTRALI A BIOMASSE?
Siamo allarmati da due pericolosi disegni di legge di modifica della attuale normativa sulla coltivazione della canapa in campo agricolo, per le 52 varietà non psicoattive ammesse e incentivate dalla Comunità Europea.
Sono due progetti di legge, uno peggiore dell’altro, uno della Regione Lazio e l’altro della Commissione Agricoltura della Camera.
Sul nostro sito a questo link è visionabile una analisi approfondita e dettagliata delle due PL messe in relazione alla attuale normativa con il commento su come, da agricoltori, vediamo queste proposte e cosa invece necessiterebbe, secondo noi il settore.
Indicazioni su cosa, al contrario di queste proposte, si dovrebbe e potrebbe fare se veramente si volesse far ripartire la coltivazione della canapa, in maniera etica, secondo un altro modello di sviluppo, capace di creare occupazione nel rispetto della vita e dell’ambiente che la circonda.
Fortunatamente ancora C’E’ CHI DICE NO al profitto ad ogni costo sulla pelle e la salute dei cittadini, ai progetti sostenuti e propagandati da falsi ambientalisti e falsi antiproibizionisti che apparentemente parrebbero sostenere la canapa, individuata in queste proposte come la risorsa per produrre la biomassa necessaria alle centrali alimentate in questo modo per l’ottenimento dell’energia elettrica.
C’è addirittura chi incredibilmente propone di depurare i terreni altamente inquinati con la canapa, per poi bruciarla in quelle centrali a biomassa per ottenere energia elettrica.
Non siamo solo contrari a bruciare la biomassa inquinata della canapa utilizzata per fitodepurare in impianti a biomassa, siamo contrari anche a usare comunque la canapa come biomassa da bruciare in quelle centrali, anche se provenisse da terreni agricoli.
Anche se non usata per depurare i siti super inquinati, la canapa è comunque una pianta fitodepuratrice in grado di assorbire dal terreno molto più di altre piante e già i residui dei prodotti usati legalmente in agricoltura convenzionale ne renderebbero dannoso per la salute pubblica questo utilizzo.
Noi siamo contrari a quegli impianti a biomassa, per via delle alte emissioni di micropolveri PM10 e PM2.5, oltre che di idrocarburi policiclici aromatici (PAH), composti organici volatili, monossido di carbonio, ossidi di azoto e di zolfo, tutte sostanze altamente nocive per la salute, normalmente emesse durante la combustione delle biomasse solide.
Figuriamoci quindi cosa verrebbe immesso nell’aria che respiriamo usando come combustibile le piante usate per depurare terreni inquinati da diossine, nitrati, fosfati, clorati, esaclorocicloesano, DDE, DDT, arsenico, cadmio, piombo, mercurio, altri metalli pesanti pesanti ed anche particelle radioattive, come quelle rintracciate nei pressi delle centrali atomiche non più in uso.
Siamo allarmati da questi pericolosi disegni di legge in campo agricolo, uno della Regione Lazio e l’altro della Commissione Agricoltura della Camera, che intendono incentivare la coltivazione della canapa per la produzione della biomassa necessaria a quelle centrali a biomassa che noi invece riteniamo andrebbero chiuse.
Non siamo contrari a disinquinare i terreni con la canapa a patto che poi quella biomassa venga stoccata in siti protetti e mai più immessa in circolo per nessun uso e di seguito proponiamo alcuni link alle forme di resistenza verso questi crimini contro l’ambiente e l’umanità che abita vicino alle centrali a Biomassa.
NO BIOMASSE
NO BIOGAS
SENZA SE E SENZA MA
La mappa dei comitati no inceneritori, no biomasse in Italia, cliccando su una regione appaiono i link alle pagine dei comitati di quella regione:
Ecco invece, nell’esempio del disastro della Valle del Sacco o Valle Latina, la prova di cosa causano quelle logiche del profitto ad ogni costo senza il rispetto dell’ambiente e della salute di chi ci vive, che privilegiano come valore fondamentale gli investimenti finanziari delle industrie invece che la vita.
Qui trovate gli indirizzi aggiornati (sotto la responsabilità dei singoli comitati che li comunicano) dei Comitati di tutta Italia che si battono contro la proliferazione delle (centrali) biogas e biomasse:
https://sites.google.com/site/coordinamentoterrenostre/home/link-1
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Ancora una vittima dell’ ignoranza figlia dalla repressione PROIBIZIONISTA.
Ancora una vita giovanissima spazzata via in uno dei locali più famosi, blasonati e CONTROLLATI del “bel paese”.
Ancora uno sciacallaggio mediatico senza vergogna nè rispetto per il dolore di parenti e amici.
Noi ci limitiamo a segnalare qualche articolo più ragionato e puntuale e una nostra intervista rilasciata a DolceVitaonline per avanzare verso interventi più utili a evitare altre tragedie simili.
– L’IKEA dell’elettronica e la morte di un ragazzo
– Sedicenne morto a Riccione, il medico: “Serve riduzione del danno. Invece si fa solo repressione”
Inoltre vi segnaliamo un’altra intervista dello scorso ottobre sul tema urgente dell’ analisi delle sostanze circolanti nel mercato italiano
– Le cavie d’Europa – Perché in Italia circolano le droghe più scadenti sul mercato
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Quando si commentano eventi tragici come quello accaduto sabato scorso al Coccoricò di Riccione, dove un ragazzo di 16 anni ha perso la vita, è meglio aspettare un attimo e ragionare. La rincorsa alla scrittura della notizia in velocità la lasciamo ad altri giornali, così come gli lasciamo volentieri anche la solita retorica della tragedia. Non perché non sia stata una tragedia la morte di un ragazzo così giovane, ma perché serve altro per cambiare le cose e far sì che questi fatti non accadano più.
Su quasi tutti i media nazionali avrete potuto leggere le stesse cose: la morte accettata come logica conseguenza dello sballo dei giovani, e i pochi spunti polemici indirizzati alla mancanza di controlli, all’esigenza di avere più polizia e cani antidroga all’ingresso, la richiesta di chiudere il locale. Ad infarcire il tutto livelli di ignoranza da ritiro del tesserino dell’ordine dei giornalisti: l’mdma descritta come una nuova droga, l’ipertemia confusa con la febbre, l’amico del ragazzo che gli aveva dato l’mdma additato come pusher e unico colpevole. Chi più ne ha più ne metta.
Non un ragionamento su come si potrebbero evitare in futuro questi tragici avvenimenti, fatta eccezione per un paio di articoli ben fatti (in particolare questo dell’agezia Dire e questo di Manila Ricci del Laboratorio Paz di Rimini). Del resto, non un singolo articolo che citi parole come “riduzione del danno”, “chill-out”, “analisi delle sostanze”. Eppure il nocciolo della questione sarebbe, soprattutto, questo.
Ne abbiamo parlato con Max, del Lab57 di Bologna, associazione di promozione sociale senza scopo di lucro che da anni lavora nelle feste e nei “Free parties” facendo riduzione del danno, informazione, analisi delle sostanze, primo soccorso. Insomma tutte quelle attività che servono a prevenire fatti come quello di sabato scorso.
- Ciao Max, cosa hai pensato quando hai sentito la notizia del ragazzo morto al Coccoricò?
Che al Coccoricò ci sono 33 telecamere a circuito chiuso e un’ambulanza pagata dai gestori del locale, oltre a decine di buttafuori che perquisiscono i ragazzi all’ingresso e poliziotti in divisa e in borghese. Il risultato è che nonostante questo dispiegamento di forze e risorse, nei locali commerciali come nelle feste organizzate dai Comuni della riviera come la Molo street parade ogni fine settimana si rischia il morto e ogni tanto, come questa volta, ci scappa davvero. Nel frattempo noi di Lab57 sabato scorso eravamo a un rave a Pavullo (Modena), migliaia di persone e non c’è stato nessun problema sanitario rilevante, perché c’erano strategie di riduzione del danno, al posto di inutili controlli repressivi.
- Cosa intendi per riduzione del danno, come potrebbe servire a evitare queste tragedie?
Innanzitutto significa avere punti dove si faccia analisi chimica delle sostanze. In alcuni paesi europei questa è una prassi, se vai fuori da certi tipi di locali in Spagna, Portogallo, Svizzera, Francia ed Austria, ad esempio, trovi personale sanitario che con dei kit analizza in tempo reale la sostanza che hai acquistato e ti sa dire il grado di purezza che ha, se e quanto è tagliata con farmaci, caffeina o altre schifezze che potrebbero farti del male. Queste analisi si possono fare con piccoli laboratori portatili, bastano da due a venti minuti, a seconda delle tecniche che si usano, i kit colorimetrici che usiamo noi, ad esempio, costano poco o niente. Un’analisi dal costo di un euro e 60 centesimi poteva salvare la vita a quel ragazzo, mettendolo in guardia sulla purezza della sostanza.
- E perché non viene fatta in Italia?
Perché culturalmente siamo ancora vittime del discorso dei vari Giovanardi e delle comunità di recupero in stile San Patrignano. Loro dicono: se tocchi la droga muori. E il loro discorso finisce lì. L’unica prevenzione che conoscono è quella della polizia e dei buttafuori che perquisiscono gli ingressi. Però poi succede che ovviamente i giovani le sostanze le assumono comunque, e per evitare i controlli l’mdma la prendono in polvere anziché in pastiglie che sono più difficili da nascondere. Il risultato è che poi la polvere la versano di fretta in una bottiglietta d’acqua e buttano giù. Senza avere un’idea di quanta ne prendono. Anche perché nessuno gli spiega che per stare sicuri con l’mdma la dose da non superare è 1/10 di grammo, questo ragazzino che è morto ne aveva assunta dieci volte tanto. E poi la riduzione del danno non viene fatta anche a causa delle politiche dei gestori dei locali.
- In che senso?
Il problema è sempre lo stesso: siccome fare riduzione del danno è visto dai gestori come un’ammissione implicita del fatto che all’interno dei loro locali c’è gente che assume sostanze, allora preferiscono non farla nascondendo la testa sotto la sabbia. Quelli del Coccoricò poche settimane fa’ erano stati a San Patrignano, a spiegare che grazie ai controlli la droga non era più un problema grave dentro al loro locale. Si è visto.
- Anche i controlli rappresentano un problema?
Nel modo in cui vengono fatti sì, se un ragazzo sta male dentro a una discoteca non sa cosa fare. I suoi amici temono che accompagnandolo fuori vengano interrogati e perquisiti dalla polizia, che è sempre presente fuori dai locali. Le ambulanze sono poste spesso a pochi metri da buttafuori e poliziotti, e un ragazzo che si sente poco bene non ci andrà mai per paura di essere fermato. Così succede che un ragazzo che sta male pensi “non ci vado fuori, tanto adesso mi passa” e rimane dentro al locale, dove non esistono quasi mai aree “chill-out” dove possa stare tranquillo, senza musica assordante, aiutato da personale esperto in primo soccorso ed effetti delle sostanze che sia in grado di dargli una mano per riprendersi lì in chill-out o di chiamare il 118 se la situazione lo richiede davvero. In tutto questo il gestore del Coccoricò all’indomani della tragedia ha detto che aumenterà la sicurezza pagando di propria tasca per avere più cani antidroga all’ingresso del locale. Una pazzia.
- A leggere i giornali sembra invece che il colpevole di tutto sia l’amico che gli ha ceduto l’mdma…
Questo è un altro dei modi distorti con cui si ragiona di queste cose. Ci si limita a invocare più controlli ed a cercare un capo espiatorio per lavarsi le coscenze. Sui giornali questo ragazzo è già diventato “il pusher”. Il terribile spacciatore da punire. Ma è un diciannovenne (amico di scuola del ragazzo che non c’è più, ndr), che forse allo stesso modo ha assunto una dose spropositata di mdma con la sola differenza che non ci ha lasciato le penne. La causa di questi decessi, lo ripeto, va cercata nella mancanza di progetti di informazione che spieghino come assumere le sostanze, i dosaggi corretti, i mix pericolosi e cosa fare se un amico non si sente bene, nell’assenza di personale sanitario qualificato. Perché è vero che c’erano gli operatori del 118, ma io che ho a che fare spesso con loro per il mio lavoro so come molti di loro non sappiano assolutamente cosa fare in questi casi, perché non vengono formati adeguatamente per far fronte a queste situazioni in cui serve riconoscere tempestivamente gli effetti di diverse sostanze assunte contemporaneamente, tra le quali l’alcool non manca mai, ovviamente.
- Come si potrebbe fare nel breve periodo per evitare che queste cose si ripetano?
Accettare che nonostante i controlli, i cani antidroga, le telecamere, i buttafuori e le campagne di San Patrignano l’uso di sostanze è comunque radicato e impossibile da debellare. Basterebbe spendere un decimo di ciò che si spende in repressione per creare dei punti con personale qualificato dentro e fuori i locali, creare sale “chill out” efficenti con postazioni mobili per testare le sostanze prima che vengano assunte e fare campagne informative serie, a cominciare dalle scuole, che spieghino i rischi correlati all’assunzione di ogni sostanza e come evitare di lasciarci le penne se per caso si decide di assumerla comunque. Nei paesi dove si cerca di seguire questo approccio i risultati sono ottimi.
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pubblicato il 23/7/15 su Dolcevitaonline
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