Scriviamo questo testo come report dell’Albaniatek 2023 per provare a restituire la complessità di quanto accaduto nella prima settimana di festa.
La quarta edizione del teknival si è svolta nello stesso luogo dell’anno scorso, la spiaggia di Vile-Bashtove, oggetto recente di interessi turistici dove sono presenti diversi lidi, alcuni ancora in costruzione. Già prima del suo inizio, si prevedeva che la festa sarebbe stata molto più grande degli anni precedenti e pareva che nessunx avesse pensato alla riduzione del danno.
Su sollecitazione di alcuni sound systems e di tante persone che sarebbero andate al Teknival, il Lab57 ha deciso di fare una chiamata più ampia possibile nel tentativo di organizzare un intervento di Riduzione dei Rischi (RdR), con la collaborazione di persone della rete Smash Repression e amicx che si sono unitx durante la festa, che hanno dato un contributo fondamentale.
Preferiamo parlare di Riduzione dei Rischi come i progetti francesi piuttosto che di Riduzione del Danno poiché riteniamo che i danni non siano necessariamente presenti se si attuano pratiche adeguate a se stessx e al contesto.
Il nostro approccio non si basa sul semplice assistenzialismo che medicalizza l’uso delle sostanze trattando chi le usa come malatx da curare, piuttosto tenta di responsabilizzare tutte le persone in festa, ovviamente aiutando chi è in difficoltà, ma fornendo tutte le informazioni necessarie in modo che chiunque sia consapevole di cosa decide di assumere e delle conseguenze che ne derivano, stimolando così l’autogestione e l’autoregolazione nell’uso di sostanze.
Sempre nell’ottica della responsabilizzazione, abbiamo deciso di distribuire ai referenti di tutti i sound systems le Linee Guida di RdR che spiegano il nostro lavoro in chill-out, la lista di materiali utili per RdR da tenere a disposizione in ogni stage, elementi di primo soccorso e cosa fare in caso di molestie. Inoltre, ogni sound systems aveva numeri di telefono da chiamare in caso di emergenza e ha messo a disposizione qualche persona da destinare ai turni in chill-out.
L’1 settembre, una volta arrivatx, ci siamo resx conto dell’effettiva vastità che stava assumendo il teknival: più di 15 muri si stavano pian piano erigendo su un’area molto estesa della spiaggia, lunga almeno 2,5 km, grazie al lavoro di più di 50 crew (albanesi, italiane, francesi, spagnole, ceche,turche, etc.), e intorno a essi lentamente si stava steroide componendo una città-accampamento di almeno 10mila persone che si estendeva anche nella pineta retrostante la spiaggia,fino ad arrivare a 15-20 mila persone di massimo afflusso.
Insieme alla vastità della festa ci colpisce anche l’ingente quantità di spazzatura presente sulla spiaggia: il mare che abbiamo attraversato è una discarica, così come il resto degli Oceani, nei quali ogni anno si scaricano fino a 12 milioni di tonnellate di plastica. A ripulire la nuova spazzatura che produciamo e che si accumula ai lati della strada che attraversa il teknival troviamo ragazzx del posto che la differenziano a mani nude per pochi lek.
Sebbene siamo coscienti che alcune persone dei sound si siano impegnate per cercare di ripulire il posto per quanto possibile, ci sembra comunque venire meno il principio basilare delle TAZ di cura del luogo, rigenerandolo dopo averlo lasciato.
Attraversando la festa ci rendiamo conto che sono pochissime le persone del luogo che vi stanno effettivamente partecipando. Ma forse è un pensiero che non ci passa davvero neanche per la testa, perché la festa non la stiamo costruendo anche per loro. Ci autoassolviamo dicendoci che alla fine gli portiamo soldi e che sono così tanto gentili, parlano addirittura la nostra lingua. Forse non ci ricordiamo di una delle pagine del colonialismo spesso celate e dimenticate: nel 1939 il governo fascista occupò l’Albania, rimanendovi fino all’armistizio del 1943 – presenza già inaugurata negli anni Venti.
Mentre in Italia la repressione ci schiaccia, per il quarto anno di fila si conclude in terra albanese il giro dell’est di molte crew.
Il privilegio di potersi divertire in un territorio più povero senza incappare nei rischi che avremmo incontrato in altri luoghi in Europa si fa sentire e la domanda che ci poniamo è quella relativa alla redistribuzione delle risorse che abbiamo.
Nelle feste che vorremmo, il contatto con il territorio è un nodo nevralgico. Nella costruzione di queste zone temporaneamente autonome, vogliamo stare a contatto con quello che è il passato e il presente dei luoghi nei quali balliamo, per costruire insieme momenti di condivisione reale.
All’interno della festa c’è anche chi ha proposto momenti di incontro e compenetrazione culturale: è stato il caso del progetto Melting Pot, che ha ospitato uno dei momenti più belli di tutto il teknival. Durante la sera del primo settembre abbiamo potuto assistere ai canti iso-polifonici albanesi (qui un video di una performance del 2014 del coro Violinat E Lapardhase https://www.youtube.com/watch?v=IXHA3qTA5CQ&t=76s).
Questi spazi di incontro sono preziosi e andrebbero implementati, per mettersi in relazione sincera con le persone e provare insieme a costruire qualcosa. Quali sono i desideri e i bisogni di chi vive questi luoghi? Quali sono le criticità che si manifestano davanti a una festa di queste dimensioni in un contesto come questo?
Il teknival era molto dispersivo, ci volevano più di 20 minuti per percorrerlo da un capo all’altro. Grazie al sostegno fondamentale dello stage Melting Pot, montiamo la chill-out più o meno al centro.
Nonostante le difficoltà ci rendiamo conto fin da subito che la presenza della chill-out è diventata un punto di riferimento per le persone che attraversavano il Teknival, avendo messo a disposizione di tuttx:
– acqua, cibo e succhi gratis
– materiali informativi multilingua su sostanze, pratiche di RdR e consenso
– materiale sanitario come etilometro, preservativi, materiale per lo sniffo pulito, ecc.
– servizio gratuito di Drugchecking (analisi delle sostanze)
– un’area chill-out per riposare e dormire.
– una piccola infermeria di primo soccorso con 2 medicx e farmaci di base.
– aiuto alle persone in difficoltà per l’uso di sostanze o a causa di aggressioni o di violenze di genere.
Questi interventi si sono rivelati fondamentali. In questi 7 giorni centinaia di persone si sono rivolte a noi e siamo riuscitx a evitare almeno 20 ospedalizzazioni per uso di sostanze e almeno 3 interventi molto critici fortunatamente senza conseguenze (2 crisi epilettiche e un attacco di cuore). Abbiamo inoltre curato anche decine di ferite accidentali, fratture, distorsioni, abbiamo supportato almeno una decina di persone in Bad Trip.
Durante il quinto giorno di festa, un gruppo di persone si rivolge a noi riportandoci un caso di stupro particolarmente efferato avvenuto nella notte precedente. Pressoché nello stesso momento veniamo a sapere di un’altra violenza.
Attraverso lx amicx offriamo supporto alle persone nel caso volessero parlare con noi e al contempo decidiamo con loro di scrivere dei cartelli da apporre nelle prossimità dei sound. Ci diamo un appuntamento nel pomeriggio per costruire i materiali e a questo si presentano tantissime persone, tra cui alcunx che hanno preso parte all’organizzazione del teknival.
Si è quindi creata un’assemblea spontanea,dato che nel frattempo la notizia delle violenze si era diffusa a macchia d’olio. Durante questa prima assemblea un’altra ragazza racconterà di aver subito molestie da parte di alcuni uomini italiani mentre si spostava da un sound all’altro.
Si prova a capire come reagire alla situazione: ci troviamo davanti ad alcuni – il maschile plurale non è casuale– che provano a mettere in dubbio che le violenze siano davvero avvenute, pretendendo prove e tentando di sminuire la gravità della situazione, mentre per fortuna tante persone tentano in maniera propositiva di trovare soluzioni affinchè non si replichino dinamiche violente nella festa stessa.
Secondo alcunx la cosa migliore sarebbe interrompere subito e smontare, per altrx continuare. A quel punto, però, erano ormai le 19, e si è ritenuto che spegnere da un momento all’altro non fosse una buona idea. Si tentano perciò delle strategie: chi era presente delle crew si impegna a illuminare il più possibile le zone limitrofe ai sound; un gruppo di persone scrive su cartelloni un messaggio tradotto in almeno 7 lingue che verrà appeso in ogni sound, di questo messaggio ne viene fatta anche una versione audio che alcuni muri inizieranno a trasmettere.
A chi sostiene che questo abbia “alimentato delle paranoie” rispondiamo che l’unica cosa che dovrebbe spaventarci è il tentativo di silenziare violenze in nome di una festa che deve necessariamente continuare.
Alcune di noi che hanno partecipato alla RdR hanno allestito una distro con materiali incentrati sulle questioni di genere con fanzine che spaziavano dalla restituzione di lotte alle riflessioni sulle relazioni che costruiamo, ma anche sulla violenza stessa, sulla sua strutturalità e sulle strategie messe in campo per gestirla.
Ci diamo appuntamento per il giorno dopo per valutare se le pratiche messe in atto avessero funzionato, ritrovandoci in una assemblea molto più partecipata della precedente (almeno 200 persone), durante la quale tutti i sound spengono per qualche ora per permettere che si svolga al meglio. Altre ragazze raccontano di molestie e gli stupri salgono a tre. Ci troviamo nuovamente davanti a maschi che provano a negare ciò che sta accadendo per far sì che la festa continui indisturbata. Per tantx invece l’unica cosa da fare a quel punto è spegnere. Alcune crew si rifiutano di farlo e dicono di voler rimanere fino al 10 (la data di chiusura stabilita originariamente), altre decidono invece che il giorno dopo avrebbero spento, smontato e lasciato l’area. Ci si trova comunque a dover affrontare un’altra notte.
La discussione va avanti per ore: in moltx iniziano a sostenere che le violenze vengano esclusivamente da persone intrufolate ad hoc nella festa, dai locals albanesi che arrivano la sera in macchina. E ci ritroviamo, davanti a un muro spento, in ascolto di un vecchio motivetto: “dobbiamo difendere le nostre donne”. Queste narrazioni le conosciamo bene: il cosiddetto “pericolo nero” ha rappresentato un’arma fondamentale nel colonialismo storico, arma che si protrae ancora oggi, permettendo violenze di stampo razziale attraverso la riproduzione dell’idea patriarcale delle donne come dei soggetti indifesi che necessitano della protezione di un uomo.
Viene da domandarsi, inoltre, se la festa si sarebbe fermata se il primo caso di violenza non avesse avuto dei tratti così efferati. Una buona parte di persone presenti all’assemblea rigetta la narrazione razzista e mostrificante proposta da alcuni. In moltx si rifiutano di responsabilizzarsi davanti alle violenze puntando il dito fuori, ma, si ragiona invece su quanto sia facile riprodurre un mondo patriarcale anche in festa. Sappiamo bene che ad agire violenza non è un mostro, un raver, un tossico, un albanese o un pazzo: colui che stupra è un uomo.
Le proposte sono le più disparate, alcune finirebbero per essere ulteriormente violente. Alla fine si decide di formare dei gruppi, cosiddetti teamcare, che girino per tutta la festa per garantire dei presidi itineranti di cura nel caso ci fossero persone sole in condizione di necessità, qualcunx mette a disposizione dei walkie-talkie e si organizzano dei turni durante tutta la notte. Viene ribadito più volte che non si devono creare escalation di violenza (e così è stato). Vengono inoltre create piccole safer zone vicine a ogni sound e tutte le crew si prendono la responsabilità di essere dei punti di riferimento per chi ha bisogno.
I teamcare hanno funzionato: oltre a dare un grande supporto alla RdR segnalando persone in difficoltà, hanno disinnescato diverse situazioni di violenza di genere e razzista, che si stavano verificando contro persone albanesi in modo del tutto arbitrario.
Alcune ragazze iniziano a disegnarsi delle “X” in parti visibili del corpo, pratica che prende spunto dalle fascette colorate utilizzate come riconoscimento nelle strade da parte del movimento femminista Ni Una Menos.
Siamo consapevoli della parzialità di alcune pratiche adottate ma riteniamo che nessunx di noi abbia soluzioni in tasca, replicabili in ogni contesto: crediamo nella potenza che si costruisce collettivamente, stando a contatto con contraddizioni e problematiche che nascono nei processi. Poiché la violenza di genere, così come quella razziale, è strutturale, non abbiamo la presunzione di sentirci al di fuori del problema, ma invece cerchiamo di starci a contatto: vogliamo metterci in relazione, tenendo conto delle posizioni di ognunx.
Proprio per questo le pratiche di cura delle comunità che costruiamo hanno centralità, senza scadere nell’assistenzialismo e nella delega, ma orientate a una partecipazione attiva e capillare in ottica di autogestione che tenga conto di umani, non umani (anche i cani sono parte delle nostre comunità!) e luogo.
Che riguardi la riduzione dei rischi relativa alla sostanze, la violenza di genere, quella di stampo razziale o la cura dei luoghi che attraversiamo il nostro sguardo è intersezionale. La festa per noi è un momento in cui sperimentare un modo di costruire un mondo diverso, in cui provare a vivere in libertà, dando spazio alla gioia e non al produttivismo capitalista senza riprodurre le molteplici forme di violenza su cui la società che viviamo è costruita.
Il giorno dopo, 7 settembre, come da nostro programma, smontiamo la chillout e ce ne andiamo. Con noi smontano anche la maggior parte dei sound.
Nel frattempo è ormai iniziata quella valanga di informazioni che nel passaparola si ingigantiscono sempre di più e vengono peggiorate da avvisi sui social. C’è chi parla di regolamenti di conti, bande armate organizzate che aspettano i ravers all’uscita della festa. Noi usciamo in grande tranquillità, senza incontrare nessunx.
Qui si ferma il nostro report. Le crew che sono rimaste con gli ultimi stage attivi hanno proseguito la festa e iniziato a staccare dal 10/09, l’ultimo sound si è spento il 12 settembre.
Al ritorno in Italia pensavamo di dedicarci subito a questo testo, ma siamo statx pian piano raggiuntx da voci sempre più numerose che negavano le violenze.
“Dove sono le prove? E poi chi sono queste ragazze? E’ stata una paranoia collettiva”.
Arriviamo a leggere commenti e proposte sempre più problematiche. C’è chi sostiene che le persone albanesi non avrebbero nemmeno dovuto avvicinarsi all’area, o che le violenze fossero tutte fake news.
Ci intristisce molto vedere con quanta facilità si neghino o sminuiscano delle violenze per difendere “la reputazione” della festa piuttosto che interrogarsi e proporsi rispetto alle pratiche sperimentate; fa rabbia vedere con quanta facilità non si creda a una violenza perché le persone che l’hanno subita non ne hanno fatto un racconto dettagliato ad alcuni che pensano di avere non si sa quale autorità in un contesto antiautoritario quale è una festa (e che poi si rivolgono agli sbirri per accertarsi che non ci siano delle denunce!).
D’altra parte è per noi fondamentale riportare quanto è accaduto: non avevamo mai visto un Teknival fermarsi e il crearsi di assemblee spontanee in seguito a violenze di genere.
La festa non è fatta solo dalle crew che organizzano e montano, è fatta da tuttx quellx che vi partecipano e ballano davanti a quelle casse.
Vogliamo ballare liberx dalla violenza.
Vogliamo che le nostre feste siano anche luoghi di cura.
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