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Vorremmo chiedere conto a Repubblica di questo articolo sul Mefedrone, Controinformazione di Lab57: timori esagerati su certe sostanze, (Repubblica 17 ottobre 2010 pagina 3 sezione: BOLOGNA), in cui in modo scorretto e allusivo si citano frasi spezzate e incomplete di un articolo sul nostro sito ( Allarme Mefedrone!? Un’altra figuraccia del Dipartimento Antidroga), suggerendo al lettore con faciloneria e malafede che in qualche modo si minimizzi la pericolosità della sostanza e dei suoi effetti, mentre nel nostro pezzo si sottolineano al contrario tutti i rischi di assunzione ed le falsità di una informazione scandalistica.
Come se non bastasse Repubblica accosta questa “perla di giornalismo” ad un altro articolo nella pagina seguente che finisce con queste pesanti insinauzioni messe in bocca a Elia Del Borrello , responsabile del laboratorio di tossicologia forense dell’Alma Mater :
<<“Le droghe sintetiche? Sono pericolosissime, e la “cultura della banalizzazione” del fenomeno favorita anche da alcuni centri sociali, non per motivi “nobili”, produce altri rischi”>> ( estratto da Le forze dell’ordine lanciano l’allarme Repubblica — 17 ottobre 2010 pagina 2 sezione: BOLOGNA ).
A tal proposito chiediamo caldamente al prof Del Borrello di chiarire quanto prima queste pesanti e qualunquistiche insinuazioni sui cosiddetti “centri sociali”, invitandolo poi a non essere lui stesso vittima di quei rischi della “cultura della banalizzazione” che vorrebbe tanto maldestramente addebitare ad altri. Infatti nello stesso articolo il professore attribuisce al Mefedrone effetti come le allucinazioni, che non ci risultano da nessuna fonte autorevole, suggeriamo quindi anche a lui di consultare la nostra scheda sul Mefedrone che abbiamo costruito consultando alcuni tra i migliori esperti Europei della Riduzione dei Rischi, come i nostri amici e colleghi Svizzeri di DRUGS – JUST SAY KNOW, che il Mefedrone lo conoscono e lo analizzano sul campo da anni, invece di spararle grosse sui giornali e aumentare la confusione nei giovani consumatori che sono già abbastanza disorientati.
E’ con un misto di dolore e rabbia che ci troviamo di nuovo a denunciare la morte di un ragazzo di 19 anni in un locale di Bologna probabilmente in seguito ad un abuso di sostanze psicoattive.
Dopo i primi esami tossicologici ci sembra che si ripresenti lo stesso dramma che ha stroncato la vita di un ragazza nel 2001 a Rastignano e di un ragazzo alla Street parade Antiproibizionista del 2003, cioè un’ overdose di MDMA o ecstasy che ha provocato un’ ipertermia maligna letale (eccesso di temperatura corporea), una sindrome tipica purtroppo, molto rara fortunatamente, che può essere scongiurata solo se riconosciuta da occhi e mani esperte di operatori professionisti nella RIDUZIONE DEI RISCHI, che purtroppo in tutti questi casi erano assenti.
Dopo quei due tristi episodi i servizi a Bologna si sono organizzati su stimolo e proposta anche del Lab57 costituendo nel 2003 il Coordinamento regionale delle Unità di Strada delle Emilia Romagna, il primo in Italia, per essere sempre presenti e organizzati in tutte le situazioni bisognose di interventi di prevenzione e riduzione de rischi, dal piccolo Club, alla Street parade al piccolo rave party auto-organizzato.
Purtroppo, come inutilmente denunciamo ormai da anni nella sede del Coordinamento Regionale, il Comune di Bologna in particolare ha ridotto progressivamente gli interventi nei locali bolognesi, fino a sospenderli definitivamente negli ultimi mesi, coi risultati che tutti vediamo, (poco più di un mese fa c’era stato un altro malore seguito da un ricovero finito bene fortunatamente davanti al Kindergarten), delegando irresponsabilmente ogni problema di abuso di sostanze alle forze dell’ordine, alla security privata dei locali e in ultima istanza al 118, che a volte arriva troppo tardi come in quest’ultimo caso.
E’ possibile continuare a LAVARSENE LE MANI così?
E’ possibile invocare repressione e polizia in borghese dietro ogni angolo o gabinetto dei locali senza fare poi nulla per assistere chi magari ha assunto sostanze in tutta velocità alla cieca per non farsi scoprire?
E’ possibile che chi assume sostanze illegali perda di colpo tutti i suoi diritti, come quello di essere aiutato ed assistito in modo adeguato, prima di essere arrestato?
E’ possibile poi che il Comune di Bologna chiuda in SILENZIO il DROP-IN di via Paolo Fabbri abbandonando in strada a stessi i tossicodipendenti con immediati gravi ricadute sulla vivibilità e la salute pubblica di tutta la cittadinanza?
Il Lab57 lavora incessantemente sul campo da anni senza un centesimo di denaro pubblico (si vedano tutti gli interventi del 2008 , del 2009 e del 2010), quasi esclusivamente su base volontaria, sia a Bologna che in tutto il Nord-centro Italia, ma è evidente che da soli non possiamo essere ovunque.
Tanto più che noi conosciamo bene questo locale teatro della disgrazia, il Sinklab, in cui negli anni passati abbiamo fatto diversi interventi di riduzione dei rischi, conosciamo bene i responsabili di questo Club, che giustamente hanno deciso di dotarsi di una security con patentino di primo soccorso, ma come tante volte abbiamo insistito a ricordare, non può bastare solo questo.
Sarebbe però miope,ingiusto e troppo comodo addebitare tutta la responsabilità a questo circolo per servizi di prossimità volutamente tagliati dalle istituzioni locali, che invece sono gli unici a dover fare qualcosa SUBITO per evitare che questo si ripeta.
Questo triste evento poteva capitare in tutte le discoteche, club, discobar e anche centri sociali di Bologna che spesso rifiutano interventi di riduzione dei rischi per timore di problemi con le forze dell’ordine, anche se da molti mesi il problema non si pone più dato che nessuno propone più alcun intervento.
E’ ora di finire questo sciacallaggio mediatico e politico in cui in cui i media si tuffano molto volentieri quando si parla di MORTI PER DROGA, con la caccia al reportage dello sballo( Viaggio nel supermarket notturno dello sballo “Ciao, vuoi una pasticca? Costa solo 10 euro” , Reubblica17 ottobre 2010), definendo un rave la serata in un locale e invocando imponenti interventi delle forze dell’ordine che dovrebbero infilarsi nelle bottigliette di acqua dei ragazzi per trovare la DROGA, inviti che lo stesso questore di Bologna giudica insensati: “E’ ovvio che ci sono dei locali che ci preoccupano più di altri, con cui collaborare non è sempre facile e dove sappiamo che sono necessari maggiori controlli, ma non era questo il caso. Le nostre attività di contrasto all’esterno dei locali non si fermano. Ma non possiamo mettere un agente in ogni locale o discoteca di Bologna” (Repubblica 12 ottobre 2010).
ricordiamo inoltre che:
IN OCCASIONE DEL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI STEFANO CUCCHI
IL LIVELLO57 E IL LAB57 ORGANIZZANO UN PRESIDIO INFORMATIVO
PER TUTTO IL POMERIGGIO,
DALLE 15.00 DI SABATO 23 OTTOBRE 2010
NEI PRESSI DELLA SCALINATA DEI GIARDINI DELLA MONTAGNOLA IN VIA IRNERIO
L’INIZIATIVA HA LO SCOPO DI DENUNCIARE I TAGLI DEL COMUNE DI BOLOGNA E DELLE ASL
SU TUTTI I SERVIZI A BASSA SOGLIA, LA CHIUSURA DEL DROP-IN E LA PRESSOCHE’ TOTALE ASSENZA DI PROGETTI DI RIDUZIONE DEI RISCHI NEI LOCALI,
PROGETTI CHE PORTATI AVANTI CON SERIETA’ E CONTINUITA, EVITEREBBERO MORTI COME QUELLA DEL 19ENNE SENTITOSI MALE IN UN LOCALE DI BOLOGNA DOPO AVER ABUSATO DI SOSTANZE.
INOLTRE IL PRESIDIO MUSICALE INFORMATIVO VUOLE RIBADIRE LA NOSTRA OPPOSIZIONE A LEGGI COME LA FINI-GIOVANARDI CHE RITENIAMO DIRETTAMENTE RESPONSABILE DELLA MORTE DI STEFANO CUCCHI
LIVELLO57
LAB57
Non riapre il drop-in di via Paolo Fabbri a Bologna: E’ questa la prossimità?
Come previsto non riapre il drop-in in via Paolo Fabbri, ma i particolari sono vergognosi… grotteschi se non fosse che da ridere c’è ben poco, e non penso solo agli operatori,che forse dovevano denunciare molto prima questa situazione, ma penso soprattutto agli utenti del Drop-in, che continuano a bussare a porte sempre più chiuse e blindate, anzi no, due porte sono sempre aperte per “chi vive la strada”:
il carcere e TSO a profusione.
E’ questa la PROSSIMITA’ a Bologna? E’ la stessa prossimità e capacità di coordinare i servizi sociali che viene sbandierata in conferenze e convegni da blasonati direttori, coordinatori e cabine di regia?
Che cosa dobbiamo rispondere a tutti i tossicodipendenti che incontriamo tutti i giorni e non riescono a seguire il percorso “vita” dell’ unità mobile?
Magari aiuterebbe far sapere ovunque gli orari e le tappe dell’unità mobile in città dato che il Drop-in è chiuso a tempo indeterminato da luglio.
Ad esempio dietro al nuovo comune in via Fioravanti la situazione è peggiorata pesantemente rispetto alla denuncia fatta da noi 1 anno e mezzo fa con SPECULAZIONE TOSSICA(vedi il video in alto a sinistra), l’area abbandonata è quadruplicata con enormi buchi e anfratti pericolosi dove si vanno a rifugiare i tossicodipendenti senza che l’unità mobile o figuriamoci gli operatori si siano mai avvicinati, a quanto ci risulta.
Per una città piccola come Bologna è uno SCANDALO che ha dei responsabili di servizi comunali e sanitari con nomi e cognomi che devono renderne conto in qualche modo, considerando i rischi enormi per la salute pubblica sia dei tossicodipendenti che dei residenti.
questo è l’articolo di denuncia su ZIC
http://www.zic.it/il-drop-in-non-riapre-qualcuno-dovrebbe-chiedere-scusa/
Il drop-in non riapre, qualcuno dovrebbe chiedere scusa
E’ il primo ottobre: la struttura per tossicodipendenti di via Paolo Fabbri è rimasta chiusa, e sono stati disdetti i contratti con le cooperative. Le rassicurazioni sulla riapertura si sono dimostrate bugie con le gambe cortissime.
01 ottobre 2010 – 12:39
Venerdì primo ottobre, siamo in via Paolo Fabbri, di fronte al numero 127/2. Qui, per circa quattro anni c’è stata la sede di un servizio per tossicodipendenti. Sul cancello sono ancora attaccati due cartoncini, uno in italiano e uno in arabo. Il messaggio è lo stesso che trovammo lo scorso 3 settembre: “Dal giorno 26 luglio 2010 il Drop In è chiuso… fino a data da destinarsi”.
Quando Zeroincondotta fece uscire un articolo in cui si lanciava l’allarme per le conseguenze di questa chiusura, dalle parti del Comune di Bologna risposero che il nostro allarmismo era esagerato e strumentale, assicurando che la chiusura del Drop In era solo temporanea e che il servizio avrebbe riaperto il 1° ottobre. Era in corso una riorganizzazione dei locali. Il Comune e l’Azienda pubblica di Servizi alla Persona (ASP) Poveri Vergognosi avrebbero ripristinato il servizio, trasferendolo dai locali originari negli ex uffici del Servizio sociale per adulti di via Sabatucci, nella sede del Dormitorio Beltrame.Nei giorni scorsi avevamo fatto alcune verifiche e avevamo scoperto che i lavori necessari per il ripristino del Drop In nei nuovi locali non erano stati effettuati.
I locali nei quali avrebbe dovuto trasferirsi il servizio non erano pronti: non era stata ancora realizzata la messa a norma degli impianti elettrici e la sistemazione dei bagni, nonché tutto quello che riguardava la sicurezza dei locali stessi.
Per quanto poi riguardava la programmazione delle attività, previste dopo la riapertura, seppure da parte delle cooperative fossero state presentate da più di un mese delle proposte, da parte di ASP e Comune non era stato definito ancora nulla.
Nel servizio per tossicodipendenti ci lavoravano 4 operatori (3 della Coop. Nuova Sanità e 1 della Rupe), questi lavoratori, dopo la lettura dell’articoli su Zic, preoccupati, avevano chiesto spiegazioni ai loro datori di lavoro circa la possibile chiusura definitiva del Drop in. Da parte dei responsabili delle cooperative erano sempre state date rassicurazioni in senso contrario.
Dal 26 luglio, giorno della sospensione del servizio, gli operatori, in base ad accordi tra ASP, Coop Nuova Sanità e Rupe, erano stati impiegati ad orario dimezzato.
Negli incontri avvenuti tra la committenza e le cooperative era stato richiesto agli operatori di utilizzare le ore lavorative per il trasferimento dei materiali nei nuovi locali (tranne materiali pesanti come armadi o tavoli).
Fino alla scorsa settimana si viveva in uno stato di incertezza: per gli operatori del servizio si navigava a vista (con un piano orario concordato solo sino al 30 settembre), infatti agli stessi non erano state date risposte sul loro impiego futuro. Agli utenti del servizio che chiedevano delucidazioni sulla riapertura nessuno era in grado di fornire informazioni chiare.
Poi, due giorni fa, la situazione si è fatta molto più grave, in una lettera inviata dai committenti a chi aveva il compito di gestire il servizio, si dava comunicazione della cessazione del contratto tra ASP e cooperative sulla gestione del Drop In e si annunciava che la riattivazione delle attività dei servizi di prossimità e di bassa soglia sarà vincolata alla discussione che si terrà ad un nuovo tavolo che Comune ed ASP attiveranno in una data imprecisata.
Quindi Zeroincondotta non sbagliava a lanciare l’allarme. A raccontare balle non siamo stati noi, ma chi voleva coprire questa chiusura.
Forse è il caso di iniziare a preoccuparsi, e non poco, per quanto sta succedendo nei Servizi Sociali del Comune di Bologna, in particolare in quelli cosiddetti “a bassa soglia di accesso”.
Attraverso la formuletta “per mancanza di risorse” sono stati chiusi i laboratori informatici del Centro Diurno di Via Del Porto, si sono ridotte le presenze dell’Unità Mobile (anche su pressione di cittadini residenti) nelle zone più “calde” per spaccio e consumo di sostanze, è stato chiuso il Drop In di via Paolo Fabbri e, poco tempo fa, anche l’Asilo Notturno di via Lombardia aveva fatto la stessa fine.
E’ curioso che tutto questo avvenga a pochi giorni dall’Istruttoria Pubblica sul welfare municipale, voluto dalla Commissaria Cancellieri. E a, tal proposito, sarebbe il caso che tutti coloro che ne hanno tessuto le lodi facessero un esame di coscienza sulle scelte e sui risultati che la “amministrazione commissariata” ha conseguito.
Ci sembra di essere tornati in pieno periodo Cofferatiano, le campagne di propaganda contro i graffitari e i lavavetri, il fastidio contro le persone più deboli e più fragili.
Si enfatizza il “degrado” nelle strade, ma al tempo stesso vengono tagliati quei servizi di contatto, cura e recupero per quelle persone che con il loro disagio sociale sono considerate da una gran parte della opinione pubblica come “feccia” da rimuovere dalla vista.
Ma si sa, sulle paroline magiche “sicurezza” e “lotta al degrado” oggi stanno a galla tutti coloro che fanno finta di amministrare le città. Anche perché la logica dello “spostare dove non si vede” è un comodo paraocchi che trasferisce solo il problema più in là, ma non lo fa scomparire.
Quei ragazzi che al Drop In passavano 4/5 ore al giorno, adesso ritorneranno in Piazza Verdi, o in un parco o in un giardino pubblico.
Una cosa semplice come lo scambio di una siringa nuova con una usata, dava il risultato di una persona e di una siringa in meno sulla strada… E’ così difficile da capire?
Molto presto si vedranno gli effetti della chiusura del Drop In e non saranno certo edificanti.
E neppure socialmente e umanamente accettabili!
Vi aggiorniamo sulla singolare polemica estiva che ha continuato a vedere come protagonisti il Dipartimento Antidroga del governo italiano e Forum Droghe sul tema trattato nel post precedente: Test antidroga sul lavoro e alla guida:continua l’inquisizione contro la cannabis.
Forum Droghe risponde dunque a Serpelloni, lo Zar Antidroga nostrano, demolendo in poche righe le fragili e “sballate” certezze del professore che sembra sempre più un neuroscienziato della domenica, appunto….
Il neuroscienziato della domenica
Fonte: Fuoriluogo.it, di Olimpia de Gouges 19/08/2010
Il capodipartimento antidroga interviene di nuovo sul Manifesto, stavolta in polemica con gli scritti di Giuseppe Bortone e Susanna Ronconi in merito ai test antidroga per i lavoratori.
Bortone e Ronconi sostengono che le attuali metodiche di accertamento per le droghe illegali sono fuorvianti perché non distinguono fra l’uso, perfino remoto, di una sostanza e lo stato di alterazione legato al consumo recente, capace di compromettere le capacità lavorative. Ma – controbatte il dipartimento – tale distinzione non ha senso perché “la ricerca nel campo delle neuroscienze ha dimostrato la compromissione delle funzioni cognitive superiori..anche dopo mesi dalla sospensione dell’uso di sostanze”, nonché “l’alterazione del normale metabolismo del lobo prefrontale..sede..di tutto ciò che ci distingue fondamentalmente dagli animali”(sic!) e “proprio per questo esiste una legislazione che afferma che l’uso di sostanze è illegale”.
Le certezze del Dipartimento sono strabilianti, tanto quanto l’assoluta genericità delle sue affermazioni.
Le “alterazioni” del cervello sono uguali per tutte le droghe? Senza differenze nei modelli di consumo? E si può sapere se, ad eventuali “alterazioni” del cervello corrispondano sintomi di un qualche rilievo in ambito clinico (tali da giustificare l’allontanamento da alcune mansioni lavorative)? Quanto è sviluppata la ricerca in questo senso?
Ancora: poiché si parla genericamente di “sostanze”, dobbiamo pensare che anche l’uso di consumare vino ai pasti, seppure in quantità moderata, “alteri il normale metabolismo del lobo prefontale” impedendoci “di stimare correttamente il pericolo”? Oppure per l’alcol questo non vale, non perché sia meno rischioso dal punto di vista della salute pubblica, ma semplicemente perché è legale? Dobbiamo forse pensare che il nostro neuroscienziato della domenica ignori le più recenti classificazioni di rischio delle sostanze, a cominciare da quella di Bernard Roques che pone l’alcol (insieme a eroina e cocaina al primo posto) e la cannabis all’ultimo?
E poiché soprattutto di cannabis si tratta (il 64% dei lavoratori risultati positivi), raccomando caldamente al nostro la lettura del Global Cannabis Commission Report, appena uscito presso la Oxford University Press, frutto del lavoro dei maggiori esperti a livello mondiale; soprattutto del capitolo dove si analizza l’impatto dell’uso di cannabis sulla struttura e le funzioni cerebrali, scritto col contributo di Les Iversen (neuroscienziato di tutti i giorni): si vedrà che le certezze domenicali devono fare i conti coi dubbi della restante settimana.
Ultima osservazione. Nel primo intervento di Carlo Giovanardi (Manifesto, 27 luglio), veniamo definiti come “una frangia, esigua ed isolata” che porta avanti “una battaglia ideologica”. Poiché ogni nostro scritto è regolarmente chiosato dal Dipartimento, ci viene il sospetto di essere meno minoritari di quanto si vorrebbe. E che i nostri argomenti tocchino, ahimè, nervi scoperti.
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Quasi in contemporanea esce sul Manifesto questo articolo di Beatrice Bassini, Vice presidente di Forum Droghe, che cita proprio i tre studi sugli effetti della Cannabis da noi indicati nel nostro post precedente:
Cannabis. Studiosi costretti a sfatare stereotipi su ipotetici effetti negativi: alterano risultati
Cannabis e lavori pericolosi. Esami delle urine non servono a niente. Studio
Cannabis non influisce su funzioni cognitive dei fumatori abituali
Il mestiere che il Goveno non conosce
La risposta a Giovanni Serpelloni di Beatrice Bassini, Vice presidente di Forum Droghe.
22/08/2010
Trovo molto pericoloso il clima che si sta creando in questi ultimi anni rispetto al dibattito scientifico e politico sul tema delle droghe e dei consumatori (cfr. Giovanni Serpelloni «Perché vietare sempre l’uso di stupefacenti» il manifesto 15/8). Lavoro nelle tossicodipendenze da almeno 16 anni e ritengo che molto sia stato fatto in passato soprattutto ad opera degli operatori del pubblico e del privato sociale che, come me, fanno tutti i giorni front office con l’utenza, per favorire la demolizione degli stereotipi sul consumatore di sostanze, per invitare i consumatori ad essere attivi protagonisti della propria crescita personale, per l’integrazione lavorativa e sociale. Nell’ultimo periodo, ritengo che ci sia stato un passaggio che è più politico e ideologico che «scientifico», dalle prassi di «riduzione del danno» a quelle di «produzione del danno».
Mi riferisco a sanzioni amministrative che dal 2006 grazie alla legge Fini-Giovanardi non prevedono più il ricorso all’art.75 della legge 309/90 come alternativa e come spazio terapeutico per i consumatori di sostanze e ai test ai lavoratori che compromettono di fatto la vita lavorativa di chi ha usato anche sporadicamente sostanze psicoattive. Ma potrei citare altre prassi terapeutiche che, ad oggi, non vengono più prese in considerazione ed escluse persino dal dibattito politico. I danni a lungo termine causati da un abuso di sostanze sono di certo documentati, come sostiene Serpelloni, ma non tanto per la cannabis quanto per la cocaina e l’alcool di cui, di fatto, viene punito solo l’abuso legato al momento del controllo. Per l’alcool, sostanza tra le più pericolose dal punto di vista comportamentale e di danno alla salute, si tollera l’uso e si punisce giustamente l’abuso per chi viene trovato alla guida di un mezzo di trasporto.
Questa visione non viene mantenuta per quanto riguarda la cannabis poiché si sostiene che rechi danni neurologici irreversibili a lungo termine, ipotesi per cui viene menzionata una letteratura scientifica ad hoc di cui però non vengono fornite le coordinate. Di questo passo i consumatori di questo tipo potrebbero affluire più ad un servizio sociale per l’handicap che a un Ser.T e la cosa oltre ad apparirmi metodologicamente ridicola mi lascia perplessa dato che gli studi che vedono un lineare rapporto causa-effetto tra cannabis e compromissione cognitiva vengono fatti soprattutto su persone che hanno avuto nella loro vita vari poliabusi. Vorrei porre all’attenzione di Serpelloni altri recenti studi: Gender moderates the impact of stereotipe threat on cognitive function in cannabis users-Addict Behav (Settembre 2010); Testing for cannabis in the work place: a review of the evidence Addiction (Marzo 2010); Neurophisiological and cognitive effects of smoked marijuana in frequent users- Pharmacol Biochem Behav (Settembre 2010). Ne ho citati solo alcuni, solo per dimostrare che sia io che l’Associazione Forum Droghe non ignoriamo di certo la letteratura scientifica sull’argomento e non siamo contro «a priori».
Un ultimo punto riguarda proprio l’Associazione Forum Droghe. Caro Serpelloni, se avrà avuto l’umiltà, e il buon senso a cui lei ci invita, di vedere di quali professionalità è composta, constaterà che siamo un gruppo molto eterogeneo di operatori dei Servizi di tutta Italia sia del pubblico che del privato sociale, attivisti, garanti dei detenuti e anche sociologi e sindacalisti che vedono da varie prospettive i problemi dei consumatori di sostanze. Non siamo né «tuttologi», né «opinionisti estivi» e respingiamo al mittente le accuse di incompetenza. Il suo tipo di comunicazione intenzionalmente offensiva assomiglia molto, e ne è sicuramente parente, al «vizio» di questo governo di tentare di screditare l’interlocutore per non confrontarsi sui contenuti. La invitiamo perciò noi all’umiltà e al rispetto delle opinioni altrui, perché il nostro concetto di salute e la preoccupazione per la salvaguardia dei diritti umani non ci permette di trattare certi argomenti come chiacchiere da ombrellone.
Per finire, siamo pienamente d’accordo con lei nel distinguere ruoli e competenze. Uno dei suoi compiti istituzionali sarebbe stato quello, ad esempio, di partecipare alla recente conferenza mondiale sull’Aids a Vienna, in cui il governo italiano era assente. Spero comunque che abbia letto la Dichiarazione uscita dal summit; si sarà potuto rendere conto che le politiche sulle droghe in Italia sono arretrate e di certo non sempre condivise a livello internazionale.
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Prosegue la Serpelloneide in questo modo:
Olimpia al patibolo
27/08/2010
Il lettore che abbia la pazienza di leggere sotto l’ennesima controdeduzione del Capodipartimento antidroga a quanto da noi recentemente pubblicato e alle osservazioni a firma di Olimpia de Gouges, non avrà difficoltà a capire perché Olimpia si sia inserita nel botta e risposta. Chi se non Olimpia avrebbe potuto affrontare il patibolo degli insulti serpelloniani? Chi se non Olimpia avrebbe potuto richiamare le ragioni del dubbio e la passione per il vero dialogo contro la lama arrogante e affilata delle certezze del nostro interlocutore?
Su ispirazione di Olimpia, anche noi invitiamo il Capodipartimento alla moderazione e alla cautela. Cautela nell’interpretare i dati della ricerca neuroscientifica e nel leggere i suoi risvolti sul piano clinico. Soprattutto cautela nel tradurre meccanicamente i risultati di un filone di ricerca, comunque parziale, nella scelta politica della proibizione.
Da questo confronto agostano vogliamo però ricavare un risvolto positivo. Da tempo pensavamo di organizzare un seminario fra esperti di ambiti disciplinari diversi proprio sulla ricerca neuroscientifica, sul rilievo che ha di recente assunto, ma anche sui suoi limiti. Più in generale, sul suo significato nell’ambito del dibattito politico sulle droghe.
E’ ora di affrettarsi a mettere in atto questo proposito. Non mancheremo di invitare anche il dottor Serpelloni.
A proposito: Olimpia de Gouges presiederà l’incontro.
Giovanni Serpelloni ha scritto:
Olimpia de Gouges, morta ghigliottinata a Parigi il 3 novembre del 1793 da Robespierre per essersi opposta alla decapitazione di re Luigi XVI, risponde il 19.08.2010 dall’aldilà al mio articolo del 15 agosto sui danni cerebrali derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti. Si fanno resuscitare i morti per poter nascondere la vera identità di chi, con insolenza e maleducazione, entra in un dibattito screditando le competenze altrui senza far comprendere le proprie e celandosi vigliaccamente dietro ad un nobile quanto encomiabile pseudonimo. Si sveli cara, madame de Guoges, affinché tutti noi possiamo apprezzare le basi di competenza e conoscenza su cui lei fissa nella sua raffinatezza di eloquio e di pensiero, le sue controdeduzioni.
Detto questo, credo che alcune delle ingenue domande possano trovare facilmente risposta nelle due monografie sulle neuroscienze dell’addiction da me curate e che invito i veri curiosi a sfogliare e se gradito a scaricare gratuitamente (http://www.dronet.org/monografia.php?monografie=70).
Certamente ed ovviamente esistono delle differenze nei danni cerebrali in base all’esposizione al consumo (dipendenti da condizioni neuropsichiche individuali, quantità, durata, tipo di sostanza e mixing), come altrettanto chiaramente esistono una serie di correlati clinici e sintomatologici relativi ai danni neuropsichici sottostanti, conosciuti da anni e tali da giustificare la sospensione cautelativa dalle mansioni a rischio. Ma bisogna avere la pazienza di leggerli e studiarli approfonditamente (di solito proprio durante il sabato e la domenica!) e smetterla di rovistare tra la letteratura scientifica accreditando e prendendo in considerazione solo quegli articoli che avvalorano la tesi che le varie sostanze stupefacenti facciano bene alla salute e perlomeno non si sappia ancora precisamente quanto male facciano. E poi di quale “male” stiamo parlando? Quello che solo i nostri occhi inesperti vedono o quello che raffinate tecniche diagnostiche possono mostrare? In quanto alla tossicità dell’alcol e alla pericolosità dell’abuso alcolico, il Dipartimento per le Politiche Antidroga non ha mai sottovalutato la questione né sminuito la portata sociosanitaria di tale problematica.
Relativamente alla citata classificazione di rischio delle sostanze di Bernard Roques, credo sia opportuno che madame de Gouges rilegga bene e più approfonditamente tale articolo che prende molto poco in considerazione, nei criteri di classificazione relativi alla tossicità, proprio i più moderni studi di neuroscienze ed in particolare di neuroimmaging funzionale ad alta risoluzione. Esattamente quello che invece si è ora in grado di dimostrare come, per esempio, le significative alterazioni nei consumatori di cannabis dello spessore della corteccia cerebrale (aree temporo-mesiali e nella corteccia cingolata anteriore e cioè in associazione con deficit neuropsicologici di attenzione e memoria). Altri studi sulla maturazione e sullo sviluppo cerebrale degli adolescenti mediante il tensore di diffusione – DTI, soprattutto sulla sostanza bianca del cervello, hanno dimostrato recentemente come queste strutture vengano modificate sotto l’effetto delle sostanze stupefacenti compresa la Cannabis, inducendo deviazioni del normale sviluppo. Vogliamo continuare a tenere gli occhi chiusi? Vogliamo continuare a trovare giustificazioni per poter utilizzare senza preoccupazione le varie sostanze? Vogliamo continuare a leggere solo le pubblicazioni che ci danno ragione e scotomizzare ciò che demolisce le ormai traballanti ipotesi, insultando anche pubblicamente chi si permette di dire cose contrarie a certi principi e assunti? Io credo che i veri problemi, da affrontare per la tutela della salute pubblica in relazione all’uso di sostanze stupefacenti e alcol, stiano da un’altra parte cara madame de Gouses. In quanto al rapporto della Global Cannabis Commission, invito i lettori ma soprattutto lei, madame, a rileggerlo approfonditamente perché non sostiene affatto le tesi dell’innocuità della cannabis sui sistemi cerebrali ma anzi ne sottolinea le problematiche e i dubbi che solleva sono anche conseguenti al fatto che non sono stati prese in considerazione pubblicazione uscite dopo la stesura del rapporto, come ho avuto modo di discutere personalmente con i colleghi inglesi. Oltre, a quel rapporto consiglio madame, di cui a questo punto chiediamo esplicitamente di conoscere identità e competenze in ambito di neuroscienze, di aggiornare le sue letture con articoli scientifici nel campo del neuroimmaging usciti per l’appunto dopo quel rapporto, che non lasciano dubbi su come dovremmo atteggiarci all’interno di un approccio cautelativo e preventivo di sanità pubblica, verso sostanze come il THC, che sono in grado, per esempio, di alterare inequivocabilmente (rilevato con spettroscopia) il metabolismo del glutammato nel cervello (neurotrasmettitore fondamentale per il regolare funzionamento cognitivo) o di creare una frammentazione del DNA dei neuroni dell’ippocampo (sindrome conosciuta fin dal 1999 se per caso le fosse sfuggito). Ci spieghi, madame, perché contemporaneamente ci si batterebbe, affinché, alcune sostanze alimentari (non considerate “droghe”) che inducano solo il minimo sospetto (non la certezza)di poter danneggiare la salute o il DNA dei neuroni del nostro cervello (con caratteristiche di pericolosità quindi anche molto meno rilevanti rispetto per esempio a quanto rilevato per la cannabis), vengano vietate in via cautelativa, proibite ed escluse dalla produzione e dal commercio, mentre invece si tollera o addirittura si auspica che la cannabis (che presenta sicuramente tali effetti) venga messa a disposizione di tutti e glorificata come innocua se non addirittura salutare.Concetti e parole forse troppo difficili ma che le saranno di stimolo per studiare ed approfondire l’argomento, magari la domenica, come molti medici e studiosi fanno, compreso il sottoscritto. Sempre a disposizione.
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Per finire questo magistrale saggio di Stefano Vecchio che fortunatamente riporta il dibattito scientifico sugli effetti delle sostanze a un livello insperato di lucidità metodologica e ricchezza culturale.
Neuroscienze, oltre un pensiero unico sulle droghe
L’articolo di Stefano Vecchio, comitato scientifico di Forum Droghe, sul dibattito droghe-neuroscienze per la rubrica di Fuoriluogo pubblicata sul Manifesto dell’8 settembre 2010.
Fonte: Il Manifesto, di Stefano Vecchio 08/09/2010
Una delle questioni più controverse, oggetto del dibattito attuale, riguarda la legittimità della relazione tra le ricerche neuro scientifiche, la realtà della clinica delle dipendenze e l’orientamento stesso delle scelte delle politiche sulle droghe.
L’uso continuo delle spiegazioni neurobiologiche per stabilire pressoché tutte le questioni collegate ai consumi di sostanze stupefacenti sollecita una domanda sui rischi di un pensiero unico sulle droghe a cui si attribuisce il potere di dare una spiegazione ultima su qualunque aspetto a queste collegate.
Tale domanda è legittimata dal fatto che noi tutti condividiamo il riconoscimento della complessità del fenomeno, caratterizzato dall’intreccio delle diverse componenti fisiologiche, psicologiche, sociali e culturali, esemplificata dal celebre paradigma di interpretazione dei consumi di Norman Zinberg: drug, set, setting (la droga, la psicologia del consumatore, il contesto di consumo).
Tale complessità, esclude, almeno per ora, affermazioni semplificate quali quelle secondo cui le neuroscienze avrebbero dimostrato la compromissione delle funzioni cognitive superiori nei consumatori (tesi per la verità non nuova,giornalisticamente nota come “droga bruciacervello”).
Certo una spiegazione ultima presenta l’indubbio vantaggio di rassicurare operatori e cittadini proponendo certezze riduttive e semplificate ma sostanzialmente fa un torto all’esperienza clinica nei servizi territoriali in quanto nega di fatto a questi la capacità autonoma di produrre conoscenza; crea, inoltre, una gerarchia tra i diversi modelli di conoscenza stabilendo, arbitrariamente, che ve ne sia una più attendibile delle altre; tende infine a determinare un conflitto tra diversi saperi.
Di fatto, un malinteso del genere ostacola una discussione a più voci, attribuisce alla comunità neuro scientifica una mission che, a quanto mi risulta, non è nemmeno ricercata dai suoi rappresentanti.
La provvisorietà dei modelli attestata dagli stessi neuroscienziati, testimoniata anche dalla continua evoluzione delle teorie sull’addiction, la varietà di ricerche non comparabili metodologicamente tra loro, ci dicono che le neuroscienze ci offrono un panorama molto interessante e affascinante di conoscenze ma che queste hanno, per ora, un’importanza molto limitata per le pratiche cliniche dei servizi, per il lavoro di strada, per il lavoro nei contesti del divertimento, per le diagnosi di dipendenza, per la valutazione dei rischi etc.
Sono convinto, comunque, che quando una ricerca neurobiologica rileva che una qualche modificazione indotta nel cervello dall’effetto di una sostanza si possa configurare come un danno, questa acquisizione deve interessarci e indurci a valutare, anche se non meccanicisticamente, le implicazioni sul piano clinico e delle azioni di prevenzione selettiva. Ma allo stesso modo sono convinto che se una ricerca ben documentata dice che una strategia di riduzione del danno ha evitato un certo numero di overdose, o ha ridotto la microcriminalità e la carcerizzazione, ha limitato fortemente le malattie infettive, ha migliorato alcuni processi di socializzazione, deve farci seriamente prendere in considerazione queste prospettive e valutarne il possibile impatto nelle politiche dei servizi e i possibili vantaggi per gli utenti e la popolazione.
Per me, una tale impostazione pragmatica può contribuire a promuovere una prospettiva laica e pluralistica delle conoscenze, consente di rispettare punti di vista anche distanti e contrapposti, permette un allargamento delle competenze e forse riduce alcune differenze, rilevando più punti in comune di quanto si possa pensare.
Tornando al dibattito aperto in questa rubrica sui test per i lavoratori, e in specifico per i lavoratori dei trasporti, è importante chiarire che però la norma prevede la sanzione solo ed esclusivamente nel caso in cui il SerT accerti uno stato di tossicodipendenza.
Il discorso a questo punto si complica e richiede altri spazi e altri tempi. Sempre nel riconoscimento della ricchezza delle diversità, quale prospettiva culturale utile a costruire un “paradigma ospitale e cooperativo” sul fenomeno dei consumi di droghe.
Infine vi consigliamo vivamente di consultare il
“Manuale di Autodifesa” per accertamenti sull’uso di sostanze
che informa sulle procedure di controllo in merito a sostanze e alcool e ci illustra i reali processi innescati dalle leggi a tutela della sicurezza sulla strada e sul lavoro, a cura di
Coordinamento Operatori Bassa Soglia del Piemonte e Collettivo Infoshock del Csoa Gabrio di Torino.
Mentre in Italia decine di lavoratori da diversi mesi sono stati sospesi dal lavoro o direttamente licenziati per uno spinello fumato giorni o settimane prima, divampa la polemica estiva sui test antidroga sui lavoratori che riguarda poi direttamente altre migliaia di patenti ritirate ingiustamente.
Dopo l’articolo Test antidroga ai lavoratori, l’inutile persecuzione (che condividiamo in pieno) di Giuseppe Bortone, Responsabile tossico-dipendenze Cgil nazionale, scritto per la rubrica settimanale di Fuoriluogo pubblicata da il Manifesto il 21 luglio 2010, è arrivata (purtroppo) la risposta tutta ideologica di Giovanardi, campione nostrano di ineguagliabile inquisizione bigotta:
Test antidroga, irresponsabile chi è contrario.
Sempre sulla rubrica del Manifesto l’11 agosto risponde alle accuse arroganti di Giovanardi la nostra amica Susanna Ronconi, con questo articolo: Narcotest, l’arroganza della tolleranza zero che ci permettiamo di citare per riassumere i punti essenziali della questione:
“Conviene non far passare sotto silenzio la polemica aperta dal sottosegretario Giovanardi…. Perché è questione di civiltà, perché tocca molti lavoratori, molti di noi e perché riguarda la sicurezza di tutti.
…i test, per essere utili a prevenire danni correlati allo stato di alterazione dei lavoratori durante lo svolgimento delle loro mansioni, devono verificare a) che davvero il lavoratore abbia assunto la sostanza subito prima o durante il lavoro, e pertanto b) che sia in uno stato di alterazione tale da compromettere funzionalità, capacità e attenzione ed esporre al rischio la sicurezza altrui e propria. In assenza di questa doppia verifica – alterazione al momento e disfunzionalità correlata – i test non solo non tutelano pragmaticamente nessuno, ma finiscono con il punire non un comportamento irresponsabile bensì uno stile di vita del lavoratore. E i dati governativi danno ragione in modo inequivocabile a questa osservazione critica, quando dicono che il 64% di chi è risultato positivo (l’1,2% dei testati) lo è alla cannabis, una sostanza i cui metaboliti sono rintracciabili nell’organismo anche 30 giorni e più dopo l’assunzione.
Dunque, con le attuali metodiche di accertamento, si impone un cambiamento di mansione – con possibile perdita di reddito e ruolo, e stigma sociale annessi – a lavoratori che possono aver assunto cannabis il sabato sera, averla “smaltita” dopo poche ore, ed essere al lavoro il lunedì mattina in piena responsabilità. Facendo il parallelo con una droga legale, è come se un lavoratore brindasse a prosecco per il battesimo del figlio il sabato e andasse al lavoro il lunedì. Per capirci, stando sull’esempio: l’attuale normativa non richiede lucidità sul lavoro, impone di essere astemi. E non è la stessa cosa.”
Facciamo poi notare che oltre a noi “irresponsabili”, secondo Giovanardi, è anche la Magistratura a negare più volte negli ultimi anni la validità dei test sulle urine per rilevare l’uso di cannabis nelle ore immediatamente successive all’assunzione, cioè quando effettivamente risultano alterate le prestazioni psico-fisiche del soggetto. Ecco alcune delle ultime sentenze:
Cannabis, alla guida e positivo al test, giovane assolto: “Il fatto non sussiste”
Test positivo dopo incidente, assolto: impossibile stabilire quando aveva assunto droga(cannabis)
Assoluzione per chi guida sotto effetto di stupefacenti(cannabis)
Tribunale: esame urine non basta per condannare conducente
Tribunale: esame delle urine non sufficiente a dimostrare guida sotto effetto di stupefacenti
Queste sentenze di assoluzione relative a procedimenti riguardanti il ritiro di patenti, sono ovviamente parte dello stesso problema e della stessa battaglia di tutela dei diritti di lavoratori e cittadini ingiustamente privati di patente, auto e molto molto denaro. D’altra parte questo governo sta facendo di tutto per eliminare qualsiasi forma di dissenso o tutela istituzionale proveniente dalla Magistratura, con leggi , leggine e decreti su misura per assicurare l’impunità alla solita “cricca”, quindi nessuna sorpresa se il sottosegretario Giovanardi non si cura minimamente di queste sentenze, che invece sono importantissime per le vittime di questa insensata campagna inquisitoria, che invitiamo a fare SUBITO RICORSO rivolgendosi a legali esperti in materia, come il nostro sportello legale di consulenza gratuita: L.S.D.c (Legal Service Drug-consulting).
Per finire offriamo, come nostra abitudine una serie di studi scientifici che dimostrano dov’è la realtà e dove abita l’ideologia, la menzogna e l’ipocrisia di questi governanti senza vergogna, che preferiscono accanirsi contro chi usa cannabis per motivi
terapeutici ( Pazienti Cannabis ), dietetici ( Semi di Canapa: Concentrato di Salute e Benessere dalla Natura) o semplicemente per libera scelta personale, per rilassarsi dai ritmi forsennati di questo sistema consumi stico ormai al collasso.
Le ricerche seguenti dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che utilizzare cannabis alla sera, dopo il lavoro, non pregiudica in alcun modo le funzioni cognitive alla ripresa del lavoro il mattino seguente, neppure nei fumatori abituali.
Cannabis. Studiosi costretti a sfatare stereotipi su ipotetici effetti negativi: alterano risultati
Cannabis e lavori pericolosi. Esami delle urine non servono a niente. Studio
Cannabis non influisce su funzioni cognitive dei fumatori abituali
Criminalizzare in questo modo la cannabis significa spingere migliaia di persone ad utilizzare psicofarmaci, il cui consumo in Italia è aumentato in modo preoccupante negli ultimi anni. Secondo l’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei medicinali (Osmed) dal 2000 al 2003 si è registrato un aumento del 75%. Nel rapporto ESPAD 2007 dell’Osservatorio Europeo sulle droghe e Tossicodipendenze, uno studio svolto in 35 Paesi europei su 100 mila studenti tra i 15 e i 16 anni, per stimare l’andamento del consumo di tabacco, alcol, cannabis, inalanti e psicofarmaci tra i giovani, quelli italiani sono al quinto posto per tranquillanti e sedativi.
Immaginate ora se tutti i consumatori di cannabis per rilassarsi dopo il lavoro (autisti, dottori, mulettisti, ecc..) fossero costretti a utilizzare psicofarmaci per dormire la notte o per fronteggiare lo stress, chi ha provato a svegliarsi la mattina dopo aver preso un sedativo, anche leggero, per dormire la notte precedente, sa bene in quale stato di intorpidimento fisico e mentale si ritrovi per buona parte della mattinata.
Ebbene, questo sta già succedendo in tutta Italia, con buona pace della sicurezza sui luoghi di lavoro, con il plauso e la connivenza delle multinazionali degli psicofarmaci che aumentano i profitti, e con la garanzia che con questo sistema di monitoraggio “taroccato” sarà sempre impossibile valutare la reale idoneità dei soggetti ad attività psicofisiche che richiedono prontezza e lucidità, poichè nelle urine vengono rilevati sia tutti gli psicofarmaci (sino a 7 giorni dopo l’uso) che i cannabinoidi (sino oltre 1 mese dopo l’uso) , ma gli psicofarmaci sono legali, sebbene provochino tossicodipendenza e uno stato di alterazione psicofisica che va ben oltre le poche ore descritte nelle avvertenze che trovate nei bugiardini, mentre la cannabis è proibita e va perseguitata come il demonio anche se i suoi effetti non sono un pericolo per nessuno appena terminate le 2-3 ore di azione.
Vedi anche Tracce delle sostanze (sangue-urina-capello)
Giudicate voi stessi ora il livello di arroganza, ipocrisia e totale malafede di Giovanni Serpelloni, Capo del Dipartimento Antidroga, che il 15 agosto sul Manistesto ha risposto a Susanna Ronconi, senza citare nemmeno una straccio di studio scientifico per confermare le sue farneticazioni, e senza rispondere nel merito, poichè fino a prova contraria l’alcool è uno stupefacente, una “droga“, (quello che crea più morti e più tossicodipendenti tra l’altro!!!!) e la sua assunzione saltuaria è tollerata dalla legge, anzi incoraggiata da imponenti campagne pubblicitarie.
Caro esimio inquisitore azzeccagarbugli dottor (anche se non si direbbe per nulla) Serpelloni, di tutti i danni a breve e lungo termine dell’alcool sappiamo tutto, eppure sua maestà ci concede persino di crepare di coma etilico a norma di legge, a patto che lo facciamo alle ore da vossignoria ritenute adeguate, invece sui danni, le overdose e le tossicodipendenze da cannabis non sa proprio niente nessuna società scientifica o rivista specializzata, sappiamo invece che la Cannabis è uno dei più potenti antiepilettici e antitumorali esistenti in natura, giusto per citare solo alcune delle malattie curabili:
Lo sa persino uno dei Ministeri del suo Governo, uno a caso, il Ministero della Salute:
Applicazione dei Medicinali cannabinoidi dal sito del Ministero della salute italiano!!!
Cannabinoidi inibiscono la crescita del cancro mammario
Vedi anche la nostra scheda sulla Cannabis
Vedi tutte le ultime applicazioni terapeutiche, studi e ricerche sulla cannabis
dal sito P.I.C. Pazienti Impazienti Cannabis
Se non fosse tutto penosamente vero, sembra di rivedere un famoso film di Fantozzi, dove la Contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal mare abbatte una ad una le autorità disponibili nel tentativo di varare una nave….!!
poveri noi…
- COMMENTO | di Giovanni Serpelloni
POLEMICHE
PERCHÈ VIETARE SEMPRE L’USO DI STUPEFACENTI
In relazione all’articolo a firma di Susanna Ronconi, ancora una volta si leggono cose che impostano scorrettamente il problema dell’uso di droghe per chi svolge mansioni a rischio, ma soprattutto non tengono conto di quanto la ricerca nel campo delle neuroscienze ha dimostrato in relazione alla compromissione delle funzioni cognitive superiori, quelle che utilizziamo anche per svolgere le mansioni a rischio, anche dopo mesi dalla sospensione dell’uso di sostanze. Il fatto quindi di voler rilevare, come riportato nell’articolo, solo l’immediata assunzione di droghe (e cioè durante o subito prima dello svolgimento delle mansioni) e addirittura se questa assunzione abbia dato alterazioni, risulta totalmente errato al fine di assicurare, con criterio prudenziale e veramente preventivo basato sulle evidenze scientifiche e non sulle opinioni estive, che quella persona non svolga azioni potenzialmente lesive della salute ed incolumità altrui e propria, in conseguenza all’uso di sostanze.
Bisogna ricordare, anche ai non addetti ai lavori, che le sostanze stupefacenti non alterano il metabolismo del nostro cervello e, quindi le sue funzioni solo per il tempo in cui che esse restano nel nostro organismo (come erroneamente ritenuto da molti) ma operano e fissano disfunzioni neuropsichiche che persistono anche dopo il loro catabolismo ed espulsione. Le alterazioni neuropsichiche e metaboliche cerebrali non sono strettamente legate solo alla farmacocinetica della sostanza. Basterebbe avere l’umiltà e il buon senso di leggere un po’ di letteratura scientifica sull’argomento. Che siano poi sindacalisti e sociologi a portare avanti tesi che contestano anche le basilari scoperte delle neuroscienze in materia, ci sorprende ancora di più. Ad ognuno il proprio mestiere quindi e tentiamo di non trasformarci in tuttologi. Il concetto ruspante che lo “smaltimento” delle sostanze dal nostro sangue voglia significare che con i loro metaboliti se ne vanno anche gli effetti neuropsichici e le compromissioni cognitive correlate è profondamente errato e frutto di incompetenza in materia, che auspicabile venga rivisto. L’uso di sostanze può portare ad alterazione del normale metabolismo del lobo prefrontale, sede del controllo volontario dei comportamenti, delle funzioni cognitive superiori, della personalità, in altre parole di tutto ciò che ci distingue fondamentalmente dagli animali e che ci permette di stimare correttamente il pericolo.
Non è accettabile le teoria sostenuta implicitamente che una persona tutti i fine settimana nella sua vita “privata” assuma sostanze e durante gli altri giorni (nella sua vita “pubblica”) guidi allegramente un autobus o un treno o manovri gas tossici o sostanze radioattive, perché comunque le sue funzioni cognitive superiori, prima di tutto l’attenzione, la concentrazione e i riflessi, saranno compromessi e non permetteranno lo svolgimento di tali compiti in totale sicurezza. Detto questo, credo sia venuto il momento anche di chiarire che né la costituzione né la legislazione italiane sanciscono come diritto individuale e inviolabile quello di drogarsi. La libertà di determinare i propri comportamenti esiste, compresa quella di assumere sostanze, ma contemporaneamente esiste anche la necessità prioritaria di non far pagare agli altri le proprie scelte personali. Proprio per questo esiste anche una legislazione che afferma che l’uso di sostanze è illegale e sanzionabile amministrativamente (non penalmente), proprio per i danni sociali ed individuali che questo comporta, anche per la salute. Vale solo la pena di ricordare i recenti decessi della strada vittime di persone sotto l’effetto di sostanze e di alcol. Vietare l’uso di sostanze stupefacenti, anche fuori dall’ambiente di lavoro a chi svolge mansioni a rischio per terzi, è atto dovuto e di profonda civiltà che in ogni paese europeo trova applicazione da anni, senza che nessuno si erga a paladino di un diritto inesistente e a svantaggio di terze persone. Quanto alla distinzione tra uso sporadico e dipendenza, ancora una volta siamo di fronte ad un approccio non condivisibile perché privilegia la possibilità che qualcuno possa usare saltuariamente sostanze stupefacenti per il suo divertimento, a scapito della sicurezza di terzi. Chi si occupa di salute pubblica veramente e tutti i giorni, non solo come opinionista, ma da medico responsabile, lo sa molto bene. Non è un caso infatti che tutte le società scientifiche in materia abbiano condiviso l’impostazione assunta nel nostro Paese.
* Capo Dipartimento politiche antidroga
Infine vi consigliamo vivamente di consultare il
“Manuale di Autodifesa” per accertamenti sull’uso di sostanze
che informa sulle procedure di controllo in merito a sostanze e alcool e ci illustra i reali processi innescati dalle leggi a tutela della sicurezza sulla strada e sul lavoro, a cura di
Coordinamento Operatori Bassa Soglia del Piemonte e Collettivo Infoshock del Csoa Gabrio di Torino.
Non c’è proprio limite al peggio nel bel paese: arriva una nuova crociata di governo e purtroppo anche di apparati dello stato, i NAS, contro la Kdrink, un’innocua bevanda aromatizzata con estratti dalla foglia di coca, che è il caso di ricordarlo, è una pianta tradizionale coltivata da millenni in Sudamerica (vedi il sito di Evo Morales, presidente della Bolivia) con proprietà nutritive e curative universalmente riconosciute , di cui la cocaina è solo uno dei tanti alcaloidi pari a meno dell’ 1% della foglia di coca, il cui uso anche quotidiano non ha mai creato la dipendenza ed gli effetti deleteri della famigerata cocaina.
Eppure proprio i NAS avrebbero ” enormi quantità”, è proprio il caso di dirlo, di lavoro arretrato per cercare almeno di arginare il traffico florido di cocaina orchestrato dalle narco-mafie internazionali e dai loro eserciti spesso spalleggiati dai servizi segreti delle superpotenze civilizzate, tutte ipocritamente schierate contro la DROGA.
Si tratta di una campagna mediatico-politica sostanzialmente inconsistente, che però, come la maggior parte delle politiche ideologighe proibizioniste, hanno pesanti effetti sulle libertà personali.
Ripercorriamo nei dettagli questa grottesca vicenda ringraziando Grazia Zuffa per la rubrica settimanale di Fuoriluogo pubblicata dal Manifesto il 4 agosto 2010: La foglia di coca dell’onorevole La Qualunque:
“A chi giova?”Si chiedeva Giorgio Bignami in questa rubrica (28 luglio) a proposito della campagna politico-mediatica contro la Kdrink, la bevanda con estratti dalla foglia di coca. E’ una bella domanda la cui risposta non è semplice perché gli interessi (di bassa lega) sono più d’uno, parrebbe.
Vale dunque la pena di approfondire questa brutta vicenda.
Cominciamo dal fatto che il linciaggio subito dalla Kdrink ha raggiunto un primo risultato: la distribuzione della bevanda è stata fermata a Roma e in diverse altre città e, com’era da aspettarsi, gli ordini dei clienti sono stati quasi tutti cancellati.
Eppure la bevanda è del tutto legale, perché l’aromatizzazione con estratti di foglia di coca decocainizzata (privata degli alcaloidi della cocaina) è consentita dall’art.27 della Convenzione Unica delle Nazioni Unite e la procedura di analisi per verificare l’assenza di alcaloidi è concordata con lo International Narcotics Control Board (Incb), l’organismo che sovrintende l’applicazione delle convenzioni.
Anche il Consiglio d’Europa riconosce l’estratto di foglia di coca come uno degli aromatizzanti ammessi. Di più, la Kdrink è il frutto di un accordo stipulato nel 2002 fra la ditta produttrice (la spagnola Royal Food &Drink) e il governo del Perù per creare sbocchi commerciali legali ai contadini peruviani che producono foglia di coca. Dunque, è un (piccolo) progetto nell’ambito della riconversione dell’economia illegale legata alla cocaina, per favorire il decollo economico (legale) dei paesi dell’America Latina.
Un tassello, quello dello sviluppo alternativo, che fa parte delle politiche globali di contrasto alle narcomafie sostenute, a parole, da tutti gli stati, compresi i più guerrieri dei “guerrieri delle droghe” ( gli Stati Uniti sono il maggiore importatore di foglia di coca, al fine di estrarne aromatizzanti per bevande).
Ciò nonostante, l’armata antidroga casereccia, capitanata da esponenti del Pdl, è partita lancia in resta contro la bevanda “diseducativa”.Né potevano mancare gli squilli di tromba di Giovanardi (vedi ancora l’articolo di Bignami). Ciò che è più grave, e che vogliamo denunciare, è che gli apparati dello stato sembrano muoversi dietro l’input di questa più che discutibile campagna politica.
Il 12 giugno 2010 la compagnia che imbottiglia la Kdrink riceve una lettera dai carabinieri del Nas di Padova, a firma del comandante Pietro Mercurio: dall’analisi della bevanda, effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità, risulterebbero “tracce di cocaina”. Il fatto strano è che il prelievo dei campioni è stato effettuato il 1 dicembre 2008. Da allora nessuno ha avvertito i produttori e i distributori di alcuna irregolarità, tanto che la Kdrink è stata in circolazione per due anni. Perché i Nas informano il distributore diciotto mesi dopo il prelievo? Peraltro, tutti i test di routine effettuati in questi anni attestano che il contenuto della bevanda è perfettamente in regola.
Ancora più strano è che a tutt’oggi il produttore non riesca ad avere dai Nas alcuna informazione circa le analisi dell’Iss (il tipo di analisi effettuata, la quantità di alcaloide trovata etc.). Insomma la Kdrink si trova nell’impossibilità di difendersi dalle accuse, mentre solerti rappresentanti delle forze dell’ordine in diverse città procedono a “sequestri cautelativi”(che ne dicono gli esponenti Pdl così solerti nell’invocare la parità fra accusa e difesa?).
Per tornare al cui prodest di questa vicenda. Se la ride la Coca Cola? Forse sì, anche se la sproporzione fra questo colosso e la piccola Royal Food &Drink è enorme. Di certo non piange la Buton, che da tempo produce, senza alcun problema, il liquore Coca Buton e da poco anche il Coca Lime. Tutti rigorosamente aromatizzati con foglia di coca. Che la Buton abbia le spalle più larghe, tanto da far chiudere un occhio ai moralizzatori nostrani sui “messaggi diseducativi”?
Più di tutto, sgomenta lo squallore della retorica antidroga. Per avere un po’ di visibilità mediatica, se ne fregano che la bevanda sia conforme a legalità (ma c’è legalità e legalità, ingenui che siamo!). Tanto meno si preoccupano (i moralizzatori) di danneggiare un piccolo progetto sorto a sostegno dei contadini peruviani. Né interessa che la Kdrink sia una bevanda analcolica, destinata ad un pubblico di giovani: anche l’allarme alcol è niente più che uno specchietto per il cittadino gonzo.
Avanti così, onorevole La Qualunque, (il MINISTRO DELLA PAURA, n.d.r).”
Si veda poi questo articolo sul famoso Vin Mariani a base di foglie di Coca lodato pubblicamente persino dal Papa Leone XIII, Emile Zola e persino dalla Regina Vittoria: Cocaina, quando era il Papa a farne uso
La notizia della tragedia della Love parade di Duisburg ci ha raggiunto mentre stavamo lavorando in un grosso free party tekno nei dintorni di Torino, un intervento importante perchè per la prima volta in Italia siamo riusciti ad analizzare le sostanze con la cromatografia qualitatitiva associata al test rapido delle sostanze, grazie alla collaborazione con Medecin du Monde che sono arrivati appositamente con l’equipe Mission Rave Marsiglia con 2 medici, 2 chimici e 4 infermieri.
La notizia dei venti ragazzi morti nella calca del tunnel dell’incompetenza di amministratori incapaci e di poliziotti irresponsabili, ci ha colpito molto per due principali motivi.
– Il primo riguarda il nostro lavoro quotidiano in eventi musicali autorizzati o autogestiti, in cui al primo posto mettiamo sempre la tutela della salute dei partecipanti, sia per quanto la riguarda la messa in sicurezza dei luoghi, sia per il lavoro di responsabilizzazione e di costruzione dell’evento con gli organizzatori. Contrariamente ai luoghi comuni che demonizzano i rave party illegali come luoghi molto pericolosi,( le statistiche di incidenti e intossicazioni dimostrano esattamente il contrario) per noi è molto più facile dialogare con chi organizza free party piuttosto che riuscire a collaborare in eventi commerciali, in cui gli sponsor, gli artisti vip e le security paramilitari non hanno ben chiaro cosa implichi il concetto di Salute Pubblica, poichè lo subordinano sempre e comunque al bilancio economico della manifestazione, forse anche questo aspetto ha avuto il suo peso a Duisburg.
– Il secondo motivo di sgomento è scritto nella nostra storia: alcuni di noi hanno pensato, costruito e organizzato pressochè tutte le edizioni della più grande Street Rave Parade in Italia, la Street Parade Antiproibizionista di Bologna, che tra il 2004 ed il 2005 ha superato le 300.000 persone senza nessun problema di ordine pubblico grazie al lavoro di rete, con 118, Servizi di pulizia urbana, forze dell’ordine e Coordinamento regionale Unità di Strada E.Romagna (nato nel 2003 proprio per far fronte alla Street Parade!).
Possiamo solo immaginare il terrore e il caos di quei momenti, e la rabbia per gli errori incredibli e colpevoli delle forze dell’ordine che anche dopo i primi malori, invece di offrire una via di uscita, hanno chiuso con la forza tutte le vie d’uscita.
Dopo quasi ventanni di Love Parade, SI DOVEVA EVITARE TUTTO QUESTO.
L’organizzazione di eventi del genere non si può improvvisare senza ascotare gli organizzatori che aveva più volte pre-annunciato il disastro.
In Italia purtroppo, invece di fare posto al silenzio per le vittime, sia Bertolaso che Giovanardi sono riusciti a vomitare una montagna di sciocchezze offensive non solo verso la dignità dei parenti dei ragazzi,( erano tutti in preda alla DROGA, secondo Giovananrdi), ma anche dell’intelligenza umana. Paragonare, come fa Bertolaso, il Giubileo alla Love Parade, sembra semplicememte demenziale a chiunque, ma del resto il capo supremo della protezione civile italiana già ci aveva regalato perle di saggezza durante il terribile terremoto di Haiti, paragonandolo all’ Abruzzo!!!??
Non ci rimane che consigliarvi la lettura di un articolo di Paolo Sollecito, un amico che da da decenni ormai, come noi, lavora sulla prevenzione e lo sviluppo di una cultura critica, attiva , responsabile nei più giovani, per combattere la desertificazione consumistica e repressiva della nostra società, che a Bologna ci ha rubato la Street Parade Antirpoibizionista e in Germania ha “ucciso” lentamente la Love parade.
Duisburg: quante parole inopportune di Paolo Sollecito
Come era prevedibile, la tragedia di Duisburg, insieme a venti giovani vite, ha trascinato con sé una scia di accuse, polemiche, analisi fantasiose. C’é chi si è spinto in inopportuni paragoni italo-tedeschi rispetto alla capacità di gestione degli eventi di massa, chi non ha perso l’occasione di introdurre il termine gay parlando della parata, per discreditare le persone omosessuali, chi ha azzardato perfino complotti della ‘ndrangheta. Parole che sono apparse insensibili e lontane, nella sostanza incuranti della morte e incapaci di leggere un fenomeno, quello dei rave, che non è certo nuovo. E’ dalla fine degli anni 80, infatti, che in tutta Europa milioni di giovani si ritrovano in feste-evento che rompono le barriere del tempo e dello spazio, feste nelle quali la musica, la danza e il consumo di alcol e droghe rimandano a un modo di essere fuori dalle norme e dalle convenzioni della quotidianità. Qualcosa di simile, se non in continuità, con quei riti tribali che un tempo relegavano gli eccessi all’interno di contesti “regolati” e protetti. Modi per incanalare nella dimensione del sacro bisogni intrinseci a ogni essere umano, quei bisogni che spesso la nostra civiltà ha catalogato come espressioni di “disagio mentale”, o respinto come forme di inquietante e ripugnante diversità. Per molti ricercatori attenti, il movimento dei raver è stata la naturale riproposta di quelle dinamiche, e la sua origine occidentale non deve sorprendere, dal momento che proprio l’Occidente “razionale” è stato il primo ad emarginarle. La cecità e il pregiudizio attorno ai rave nasce da lì, una cecità che in questi anni alcuni interventi di servizi sociali pubblici e privati hanno cercato di superare, sviluppando con i partecipanti ai rave progettualità tese a contenere i rischi e aumentare la consapevolezza. Accompagnamenti informali, non invasivi, ma proprio perciò efficaci.
E’ forse questo che è mancato a Duisburg. Non altrimenti si spiega la concessione, da parte dell’amministrazione della città, di un’area che poteva contenere al massimo 250mila persone – almeno tre volte meno di ciò che ragionevolmente ci si sarebbe potuto aspettare – e la dichiarazione, in conferenza stampa, che ne erano arrivate 300mila: un misto d’incapacità e malafede che ha aperto la strada alla possibilità della tragedia. Venti anni di esperienza di “Love Parade” a Berlino avrebbe dovuto rendere evidente la crescita esponenziale nella partecipazione all’evento e un minimo di buon senso avrebbe escluso dal percorso della parata il tunnel-trappola a vantaggio itinerari e accessi più idonei. Infine la gestione della piazza, documentata dai filmati, con le forze dell’ordine che anziché lasciar aperta le vie di scorrimento provano a contenere la folla: insomma un pasticcio, una tragica profezia che si autoavvera.
Ciò che però più sconcerta sono, come detto, le reazioni. Molti dichiarano la fine dei rave o invocano legislazioni che vietino le feste su tutto il territorio europeo. E’ l’ennesima polemica ideologica che si gioca su milioni di giovani che cercano, con tutti i limiti e tutti i problemi che ne possono derivare, una strada di socialità e di comunità; ragazzi, non “alieni”, con cui si può parlare e costruire politiche di attenzione e cambiamento se solo si prendesse atto della normalità dei loro desideri e bisogni. La speranza è che ciò che è accaduto a Duisburg possa servire almeno a rompere il muro dell’ostinazione, del moralismo ipocrita, delle parole inopportune. Alla morte, forse, bisogna tornare a concedere il silenzio, lo spazio privato, spegnere le telecamere e essere vicini al dolore delle famiglie. Per tutto il resto ci vuole un po’ di coraggio, di analisi oneste, di apertura mentale: cose di cui si sente oggi fortemente il bisogno.
Paolo Sollecito
Dopo le ultime figuracce riguardo i dati taroccati sul consumo di sostanze in italia, il Dipartimento Antidroga di Giovanardi e Serpelloni non ha trovato di meglio da fare che lanciare l’ennesima crociata talebana contro i Rave party, cioè i free party auto-organizzati, diventati il nemico numero uno del governo, come al solito ignorando evidenze statistiche e dati epidemiologici che dimostrano da qualsiasi punto di vista che in questi eventi spontanei gli incidenti ed i problemi sanitari siano assolutamente trascurabili rispetto alla “movida” del business di locali, pub, discoteche, feste della birra, notti rosa e festival supersponsorizzati da marche di alcolici.
Forse non è casuale che proprio in estate venga lanciato questo anatema, in tempi di crisi le lobby dei locali e stabilimenti balneari che lottizzano le coste e di notte diventano discoteche di tendenza temono la concorrenza sleale dei free-party, salvo poi scoprire proprio in questi giorni l’evasione di milioni di euro nella riviera romagnola.
Quindi, in nome della solita legalità dei più forti, dal sito Droganews, il Dipartimento Politiche Antidroga presenta il progetto
“Rave Party Prevention”:
“I rave party sono un fenomeno in forte espansione. Molto frequentati dai giovani, sono tuttavia eventi ad alto rischio: per l’ordine pubblico, poiché si svolgono senza permessi e disturbano i residenti; per la salute di chi vi partecipa, a causa dell’alto volume della musica trasmessa e delle elevate quantità di sostanze stupefacenti e alcol che vi circolano e vengono consumate.
Per questo, il Dipartimento Politiche Antidroga ha realizzato il progetto “Rave Party Prevention”, in collaborazione con la Polizia delle Comunicazioni, il Sistema di Nazionale di Allerta Precoce e la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA) del Ministero dell’Interno, con l’obiettivo di individuare tempestivamente questi raduni, soprattutto quelli clandestini che si svolgono nel nostro Paese. Particolari controlli saranno svolti sulle comunicazioni relative ai luoghi, agli orari e alle modalità di svolgimento degli eventi che avvengono sui vari territori. La Polizia postale, una volta venuta a conoscenza del rave imminente, ne darà comunicazione alle autorità territoriali e alle Forze dell’Ordine competenti. Queste ultime interverranno presso gli organizzatori che, qualora non siano disposti a rispettare le norme di sicurezza e le legge vigenti, saranno messi in condizioni di non poter realizzare l’evento. Nel caso in cui, invece, non sia possibile impedire lo svolgimento del rave, le autorità si attiveranno per prevenire il rischio di overdose e, al termine, procederanno al sequestro delle attrezzature e all’individuazione dei responsabili, procedendo nei loro confronti secondo quanto previsto dalla legge. Un ulteriore obiettivo che il DPA si propone di raggiungere attraverso questo progetto è quello di studiare proposte per una nuova regolamentazione di tali eventi.”
A questo punto speriamo davvero che il governo, oltre a sprecare risorse per spiare siti internet, blogs e sms sui cellulari, si impegni sul serio ad attivare servizi di riduzione del danno per “per prevenire il rischio di overdose”, così come dichiarato in questo surreale comunicato.
A tal proposito condividiamo del tutto le riflessioni di Pietro Yates Moretti pubblicate su ADUC-Droghe:
Rave party, droghe e polizia morale all’italiana
“Contro i rave party clandestini arriva la polizia morale all’italiana. Saranno monitorati siti Internet e messaggini sui cellulari per individuare e scoraggiare i ritrovi “clandestini”. Ovviamente è inutile spiegare ai promotori di questa iniziativa stile Teheran che, se volessero evitare i malori e decessi per overdose, basterebbe mettere a disposizione operatori sanitari per informare i partecipanti sui rischi da consumo di droghe, controllare le sostanze che circolano in quei raduni e assistere immediatamente chi si sente male. Se invece di reprimere, si garantisse la possibiltà di svolgere il rave party in sicurezza senza il timore di finire in carcere, probabilmente nessuno sentirebbe il bisogno di organizzarli e parteciparvi in clandestinità. Sinceramente, se le mie figlie finissero a un rave, preferirei di gran lunga che lo facessero sotto gli occhi vigili di medici, piuttosto che nella clandestinità tipica e inestirpabile del regime proibizionista sulle droghe.”…..
Si allunga la lista delle sostanze proibite:
la falce proibizionista è toccata alle sostanze Spice e N-Joy, e al mefedrone.
Siamo certi che le narcomafie ringraziano, tre prodotti in più sul mercato nero da vendere col fascino irresistibile del proibito, se per Spice ed N-Joy (cannabinoidi sintetici dagli effetti poco piacevoli e ancora meno salutari) prevediamo la fine del mercato, per il Mefedrone, al contrario l’entrata nel club delle DROGHE PROIBITE potrebbe rappresentare una nuova etichetta per vendere sostanze vagamente eccitanti di dubbia provenienza senza alcun controllo.
Leggete i nostri speciali su N-Joy-cannabinoide sintetico e la nuova scheda dettagliata del MEFEDRONE e tutti gli aggiornamenti sui presunti allarmi: Allarme Mefedrone!? Un’altra figuraccia del Dipartimento Antidroga
Leggiamo dal sito governativo Dronet:
“I cannabinoidi sintetici JWH-018 e JWH-073 e il catinone mefedrone sono diventate ufficialmente sostanze poste sotto controllo e inserite nella Tabella I contenente l’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope (D.P.R. 309/1990).
L’iter che ha portato a tabellare e mettere sotto controllo, dichiarandole illegali, queste sostanze stupefacenti ha avuto inizio con un’allerta trasmessa dal Sistema Nazionale di Allerta Precoce (N.E.W.S.) del Dipartimento Politiche Antidroga ad aprile di quest’anno.
Il Ministero della Salute sulla base delle evidenze e della documentazione scientifica raccolte, certificata dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Fondazione “Maugeri” centro antiveleni di Pavia, aveva emanato un’ordinanza con cui si vietava la “fabbricazione, importazione, immissione sul mercato e commercio (compresa la vendita on-line) dei prodotti denominati ‘Spice’ e ‘n-Joy’ e relative presentazioni commerciali, venduti come miscele aromatizzanti e profumatori di ambiente” nei quali è stata individuata la presenza di questi cannabinoidi sintetici.
Tali prodotti reperibili su drugstore online e in smart shop, riportavano in etichetta indicazioni di uso non umano e ingredienti differenti da quelli realmente presenti. Pertanto, la commercializzazione connessa all’uso improprio di tali sostanze è stata ritenuta rischiosa per la salute pubblica dei cittadini, con conseguente ritiro di tali prodotti.
In seguito il Ministero della Salute ha avviato la procedura per l’inserimento in adeguata tabella dei cannabinoidi sintetici JWH-018 e JWH-073 e del mefedrone. Ottenuto il parere positivo del Consiglio Superiore di Sanità, è stato approvato il decreto del 16 giugno 2010, consultabile nella Gazzetta Ufficiale n.146 del 25/6/2010.”
– Intervento di Leonardo Fiorentini
del 1/06/2010 Festival delle Culture antifasciste a Bologna
(Ascolta l’audio),
riveduto e corretto per il blog di fuoriluogo.it –
Una premessa. Di droga di parla male. Malissimo.
Anche perché si usa la parola droga – nella sua accezione più becero-moralista – per coprire qualunque cosa.
Chi scrive vive in una città, Ferrara, nella quale qualche anno fa un ragazzo è morto durante un fermo di polizia. E’ importante ricordare come solo grazie alla forza di volontà dei genitori Federico Aldrovandi non è stato vittima due volte, prima dei poliziotti che ne hanno causato la morte poi dell’informazione che, presa per buona la velina della questura, aveva già archiviato il caso come quello del solito drogato a cui è venuto uno scioppone.
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Droga, basta citarla – possibilmente senza sottilizzare troppo su quale droga sia – per giustificare qualunque cosa. Un altro esempio? Era un drogato anoressico, l’ha ucciso la droga, più o meno così si si sarebbe risolto il caso Cucchi secondo un illustre esponente del Governo.
E’ forse questo l’effetto più perverso della politica proibizionista, esemplificato dalla legislazione voluta da quello stesso illustre esponente governativo, Carlo Giovanardi. Un metodo studiato a tavolino che semplifica, assimila le sostanze e fornisce all’opinione pubblica un pregiudizio etico, moralista e benpensante a sufficienza per essere prontamente condiviso da chi informa e da chi si fa informare.
Ho provato a fare un’analisi un po’ più accurata, prendendo spunto sui dati che ci fornisce una ricerca promossa dalla Regione Emilia Romagna sulla droga nell’informazione locale curata dal prof. Piero Ignazi per Forum Droghe nel 2004 e poi nel 2007. Prima e dopo la nuova legge sulle droghe approvata dal Governo Berlusconi nel 2006.
Nella ricerca sono state prese a campione 18 testate locali, scelte secondo la diffusione nel territorio regionale. In tutto sono stati esaminati 2422 articoli nel 2004 e 2217 nel 2007, nel corso di 9 mesi di indagine.
Un dato scontato
Vince facilmente la gara del numero di articoli, e dell’importanza loro data ovviamente il Resto del Carlino, che surclassa con le sue edizioni locali distribuite su tutto il territorio regionale ogni altro quotidiano.
Il follow up
Meno del 10% delle notizie è seguita da altri articoli (7,8% nel 2004 – 8,9% nel 2007) il che non significa solo che c’è poco interesse nel seguire una determinata vicenda – del resto la tendenza alla superficialità dell’informazione non si limita alle droghe – ma significa soprattutto che più del 90% degli articoli riportano un nuovo singolo evento. In parole povere il fenomeno è talmente diffuso e sono tanti i fatti legati alle droghe che più o meno ogni giorno i giornali ne trovano uno nuovo di cui occuparsi.
Di quali sostanze si parla
Si parla di tutto, anche di sostanze sconosciute ai più fedeli cultori della materia. Del resto più il nome è esotico più attira curiosità. Si parla comunque soprattutto di cocaina, poi di cannabis e derivati quindi di eroina.
Un caso per tutti, Alberto Mercuriali
Nel 2007, proprio nel periodo esaminato dalla ricerca, vicino a Forlì accade un fatto tragico. Alberto Mercuriali, un giovane agronomo, viene pescato dai carabinieri con una canna, viene accompagnato a casa dove consegna spontaneamente qualche decina di grammi di hashish in suo possesso dietro la promessa di riservatezza da parte dei Carabinieri. Alcuni giorni dopo, a seguito di una delle solite conferenze stampa in cui le forze dell’ordine danno conto di quanto sono efficienti nel perseguire i consumatori, su tutti i giornali locali esce la notizia di un giovane agronomo pescato con la droga nascosta dentro ad un libro. Gli agronomi giovani nel paese di Alberto sono pochi, è come mettere la sua foto in prima pagina. Lo stesso giorno vengono pescati anche due coniugi indaffarati in un traffico internazionale di chili di cocaina. Ma il giornale dedica l’intera pagina alla storia romanzata di Alberto e dei suoi 60 grammi di fumo, lasciando in un trafiletto la storia dei due coniugi. Alberto la notte stessa si è ucciso.
Ma vi sono altri dati, forse altrettanto scontati ma più interessanti perché ci forniscono alcune conferme.
Cura del tossicodipendente
Si è detto spesso, da parte dei promotori dell’attuale legislazione, che l’obiettivo era curare i tossicodipendenti e non metterli in carcere. Ora, mentre il numero dei detenuti sta per raggiungere le 80.000 unità e quasi la metà lo è per violazione delle norme sule droghe, mentre calano gli accessi alle pene alternative e alle cure, anche per colpa della normativa sulla recidiva, anche l’informazione, post Fini-Giovanardi, ha parlato meno di recupero, delle strutture pubbliche o private che si occupano di assistenza ai tossicodipendenti.
Non che prima se ne parlasse molto prima, ma la percentuali di articoli che citano le attività di recupero passano dal 4,7% (116) del 2004 all’1,12% del 2007. Insomma, per dirla con una battuta, dopo la Fini-Giovanardi non basta neanche la presenza di san Patrignano a dopare l’informazione emiliano romagnola e costringerla a parlare un po’ della cura dei tossici.
Giusto per ribadire il concetto, e comprende la qualità ed il livello generale di approfondimento dell’informazione, nel 2007 solo in 3 articoli su oltre 2200 si parlava (molto superficialmente) di riduzione del danno. Evitiamo per decenza di calcolare la percentuale sul totale.
Il dibattito sulle droghe e la debolezza del movimento antiproibizionista italiano
Un segno preoccupante della grave difficoltà del movimento antiproibizionista italiano in questi anni è la bassissima presenza di articoli di dibattito sulla legislazione sulle sostanze: 5 su 2217 nel 2007 contro i 38 della precedente rilevazione. Qui la percentuale la calcoliamo: siamo allo 0,22% contro un “dignitoso” 1,56% del 2004. Per intenderci se questo articolo oggi fosse ripreso da 5 giornalisti avremmo già realizzato un piccolo record.
Insomma forse non è un caso che fuoriluogo abbia sospeso le pubblicazioni, che antiproibizionisti.it abbia chiuso. La forza della proposta antiproibizionista è andata scemando pian piano che il proibizionismo “normalizzava” le coscienze e la morale. Non è un caso che la magistratura si senta in diritto di utilizzi sempre più spesso e sempre più strumentalmente gli articoli che prefigurano reati d’opinione (istigazione e agevolazione dell’uso) come nel caso del Rototom Sunsplash festival, di mariuana.it o più recentemente di Semitalia.
Insomma di droga si parla tanto, spesso male, ma soprattutto quasi esclusivamente legandola a fenomeni criminali. Questo il dato sull’informazione emiliano romagnolo dopo 50 anni di proibizionismo (e di quasi 10 di Giovanardi). Nonostante siano migliaia i giovani coinvolti in processi penali, centinaia di migliaia coloro passati per le Prefetture in questi anni ancora non si riesce a imporre il dibattito su una politica sulle sostanze sensata. Non solo nelle aule parlamentari, ma soprattutto nei media che in Italia paiono meno ricettivi al cambio di rotta che all’estero.
Insomma abbiamo il paradosso di un fenomeno diffusissimo, di cui tutti – anche la politica – hanno spesso conoscenza diretta, ma sul quale non si riesce a fare informazione se non parlandone in termini criminogeni.
E’ in fondo questo il punto di svolta, riuscire finalmente a scardinare il legame fra droga e criminalità. Non è nulla di nuovo. Ma perché non ci siamo ancora riusciti?